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Che cosa fa veramente paura (al cinema)?

Che cosa fa veramente paura (al cinema)?

Ulteriore episodio della nuova stagione del cinema horror asiatico: dopo The ring (Ringu, Hideo Nakata e Chisui Takigawa, Giappone, 1998, da cui l’omonimo remake americano), The Eye (Jian Gui, Oxide Pang e Danny Pang, Gran Bretagna-Hong Kong-Singapore-Thailandia, 2002), Phone (id., Ahn Byung-Ki, Corea del sud, 2002), The Wave, The Tunnel (Ano tonneru, Kunitoshi Manda, Giappone, 2004) ecco Two sisters (Janghwa, hongryeon, Kim-Ji Woon, Corea del sud, 2004). Forse il migliore della serie, dopo i vari Ringu.

L’intreccio è contorto e piuttosto incomprensibile, il colpo di scena che dovrebbe finalmente chiarire il tutto è un po’ troppo concettoso e non propriamente illuminante. Restano, però, un’ottima regia e una ricerca dell’effetto terrorizzante che continua l’indagine dei film predecessori ampliandola di nuove e valide intuizioni.
Che cosa fa più paura? Ciò che non si vede: che fa scricchiolare il legno del pavimento, l’ombra di un vestito appeso nel buio della notte, la punta di un paio di scarpe che spunta da sotto una tenda.
Two Sisters è interamente giocato su questo effetto, e per almeno metà film l’effetto funziona. Niente di peggio, a mio avviso, che intravedere la sagoma di una persona che cammina nottetempo, carponi, ai piedi del mio letto. O vedere lentamente la maniglia della camera da letto muoversi, e poi la porta discostarsi cigolando, e poi una mano dalle dita bianche come candele che si intrufola… Il merito, insomma, è di avere realizzato finalmente un horror che mette davvero i brividi. Il gioco non dura molto: trascorsa un’ora dall’inizio del film, alla quinta scena in cui la protagonista impiega un tempo interminabile per aprire la porta dell’armadio, avvicinando lentissimamente la mano tremante verso l’anta, mentre gli archi della colonna sonora (in stile Bernard Herrmann – Psycho) assordano lo spettatore (che non sta più esattamente sulle spine), ci si inizia ad annoiare un po’.

Però, se ci si annoia, si può ammirare la regia: inquietanti soggettive, efficaci movimenti di macchina, insolite visuali. Per dirne una: nel momento in cui la protagonista scopre che l’amata sorella è in realtà… beh, in quel momento la mdp prende a tremare come se fosse retta dalla stessa giovane, sottolineando l’effetto sconvolgente della rivelazione. Molto efficace anche il montaggio, sonoro più che visivo, essenziale per amplificare emotivamente un tipo di tensione che altrimenti risulterebbe troppo psicologica e interiore.

Da notare, infine, che Two Sisters esce in concomitanza con un altro film dell’orrore, italiano però: I tre volti del terrore (id., Italia, 2004) di Sergio Stivaletti [ispirato a Le cinque chiavi del terrore di Freddie Francis (Dr Terrors House of horrors, Gran Bretagna, 1964) e a I tre volti della paura di Mario Bava (id., Francia-Italia, 1963)], ironico, esplicito omaggio ai B-movie americani e al cinema horror italiano che fu. Niente di più distante tra l’horror coreano di Kim-Ji Woon e il “film di mostri” del regista-truccatore italiano: ma da vedere entrambi, per rendersi conto di ciò che al cinema fa davvero paura.

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