hideout

cultura dell'immagine e della parola

Pudore per il presente

Pudore per il presente


Trovare in un romanzo il racconto della nostra epoca contemporanea è un’esperienza esaltante. L’accademia dei sogni trasforma gli incubi della storia che viviamo ogni giorno in una narrazione, li tramuta in qualcosa che sembra passato e ci permette di riflettere su di essi.

Nel leggere le parole di questo romanzo ci si perde via via davanti a uno spettacolo semovente di ombre proiettate sopra un telo bianco: la protagonista, Cayce, moderna sensitiva del marketing, e tutti i personaggi laterali che appaiono e scompaiono hanno caratteri sfuggenti e sommessi, che nascondono una profondità sofferta, impossibile da mostrare ma appena accennata. Le parole di Gibson riescono a fare la magia scivolando una dopo l’altra con semplicità e pudore: ogni sensazione, attimo, atmosfera, nel discorso dello scrittore si fanno oggetto manipolabile, lineare e scorrevole.

Il pudore che emerge dal carattere della scrittura di Gibson è quanto mai opportuno: il mondo delineato è fatto di posti conosciuti e visti mille volte, Londra, Tokyo, New York; oggetti e marche del nostro vivere quotidiano, da Prada all’omino Michelin, alla Fanta; mezzi di comunicazione per noi scontati come il cellulare o la e-mail.
Nel trattare la nostra realtà è necessario ed etico un tipo di scrittura che ne delinei i contorni senza violentarne la natura più profonda. Per Gibson il crollo del World Trade Center diventa la caduta di «un solitario petalo da una rosa appassita nella minuscola vetrina di un eccentrico antiquario di Spring Street».

In questo mondo, che è il nostro, ci sono la rete, gli I-Book, gli aerei superveloci, gli alberghi lussuosi, il cinema su internet, la commistione delle razze, la ricerca dell’ “antico”, di tutto ciò che può essere di valore perché appartenente a un’epoca passata. Il mondo è enorme ma raggiungibile, le distanze tra i luoghi si accorciano, ma le relazioni tra le persone si fanno sempre più taciute, come se nel nostro tempo il pudore fosse l’unica forma possibile per esprimere i sentimenti.
E il nodo cruciale di questo tentativo di raccontare la contemporaneità rimane saldamente l’avvenimento dell’ 11 settembre 2001: il mondo disegnato da Gibson con una dolcezza estrema parte da lì, da quel momento la scrittura e il respiro delle persone lentamente cambiano, trasformando anche il mondo intorno. Cayce è, in questo, un esempio della grande consapevolezza dell’attualità che riesce a comunicarci Gibson: una donna che percepisce le marche delle cose a livello sensoriale, che è in grado di giudicare se un logo potrà aver successo nel mercato o meno. In un mondo che si presume desensorializzato dal marketing e dalle sue leggi, Cayce trova qualcosa di nuovo, che può essere considerato sacro, quasi mistico: la vicenda in cui si vedrà coinvolta, la porterà a scoprire il semplice miracolo della creazione, di arte, di amore.

Il racconto si fa straniante e il suo ritmo sempre più veloce mentre la storia si trasforma in una sorta di detective story alla ricerca di misteriose sequenze di un film che vengono immesse su internet da uno sconosciuto artefice. E queste immagini hanno una tale forza di fascinazione da creare legami tra le persone, che ne parlano, ne discutono con passione. Nel mondo di Gibson esiste anche il cinema come mezzo di comunicazione, veicolato dal nuovo mezzo della rete, ma con una capacità tale di aggregare le persone e di suggerire emozioni e mondi nuovi da sembrare un cinema primigenio, capace di provocare, come il cinema delle origini, lo stesso sconvolgimento nel pubblico. Al contrario, manca quasi del tutto la televisione: se ne fa accenno come mezzo che ha portato alla visibilità, meglio che la realtà stessa, l’impatto degli aerei e il crollo delle torri. Come se la possibilità della visione fosse stata talmente spudorata in quell’occasione da violentare l’occhio con un iperrealismo eccessivamente dettagliato, e da richiedere ora una possibilità di visione che sia il più misteriosa e vergine possibile, per dare alle persona l’illusione di poter immaginare ancora qualcosa oltre alla visione oggettiva delle immagini. Lo stesso meccanismo in cui ci trattiene il libro di Gibson, il quale, mentre ci racconta precisamente il nostro contemporaneo, utilizza il pudore delle parole per darci l’illusione che sia solo un racconto di fantascienza.

William Gibson nasce nel 1948 a Wytheville, in Virginia. Dopo essersi trasferito in Canada e laureato in letteratura inglese ha svolto una lunga serie di lavori irregolari. Nel 1984 scrive Neuromante, inventando il termine “cyberspazio” e scrivendo di mondi popolati da intelligenze artificiali, hackers, operatori economici, droghe cibernetiche e multinazionali di una potente economia mondiale. Alcuni suoi racconti sono stati tradotti in film: Johnny Mnemonic (1981) da cui il film Johnny Mnemonic (Can., 1995, di Robert Longo); New Rose Hotel (1983), da cui New Rose Hotel (USA, 1998 di Abel Ferrara).

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»