Il viaggio di una vita
Otto mesi di viaggio attraverso l’Argentina, il Cile, il Perù, la Colombia e il Venezuela: tanto dura il viaggio della vita per il giovane Guevara e per il suo compagno di viaggio, più anziano di sei anni, Alberto Granado, chiamato affettuosamente “mi Al”; un viaggio attraverso la povertà e le ingiustizie, un viaggio che porta con sé la libertà e le utopie della giovinezza.
Il film di Walter Salles è la romantica narrazione di una “straordinaria esperienza di vita”, come la definisce lo stesso Granado, oggi un simpatico vecchietto di 82 anni, chiamato a seguire la troupe di Salles per contribuire, attraverso i propri ricordi, a rendere il racconto filmico più ricco di particolari altrimenti inimmaginabili; grazie alla presenza di Granado, i caratteri dei due personaggi vengono descritti in maniera impeccabile, mostrando due diversi atteggiamenti nell’affrontare la vita, scanzonato e quasi goliardico quello di Alberto, serio e inflessibile, al limite dell’idealismo, quello di Ernesto, splendidamente raccolto nell’episodio in cui Ernesto decide di rischiare la propria vita attraversando il fiume a nuoto (Guevara soffrì di asma per tutta la vita: la leggenda vuole che stesse proprio tirando un faticoso respiro durante un’operazione militare nella giungla quando il fotografo Alberto “Korda” Diaz lo ritrasse nell’effige che tutti noi conosciamo).
Nell’attraversare l’America latina, l’occhio di Salles si sofferma a descrivere un mondo che si trova prossimo a un cambiamento sociale, un mondo che avrebbe conosciuto da lì a poco le utopie della rivoluzione castrista a Cuba e del governo di Salvador Allende in Cile. Il giovane Guevara rimane affascinato dal popolo sudamericano, dalle sue tradizioni e dalla sua accoglienza, al punto tale da pronunciare il giorno del suo compleanno un discorso memorabile sul sentimento che unisce tutte le genti «dal Messico allo stretto di Magellano», riuscendo a stupire e a muovere a commozione anche lo stesso Granado.
Nonostante alcuni sporadici riferimenti a ciò che Ernesto sarebbe diventato in seguito, I diari della motocicletta riesce a non essere un film politico o esageratamente nostalgico, anzi, è la storia di un’amicizia, la storia di un viaggio che avrebbe potuto compiere chiunque attraverso Paesi meravigliosi, un’avventura verso la libertà a cavallo di una “poderosa”, un racconto fatto di musica e di incontri lungo la strada. Incontri che per alcuni possono rimanere tali, ad altri invece possono cambiare la vita.
Curiosità: “Fuser”, il soprannome di Ernesto dall’inizio alla fine del film, deriva da “furibondo de la Serna”: un altro modo per sottolineare il carattere indomito del giovane medico di Buenos Aires.
A cura di Luca Bocedi
in sala ::