E se succedesse davvero?
E’ sempre più raro oggigiorno assistere ad un film che sappia coniugare gli aspetti spettacolari con quelli dell’impegno relativo alle tematiche ambientali, ma per fortuna The day after tomorrow – L’alba del giorno dopo è l’eccezione che conferma la regola. Questo perché Emmerich ha sì confezionato un film di genere catastrofico dagli strabilianti effetti speciali, ma ha motivato tale scelta inquadrandola in un allarme generalizzato che interessa la vita del nostro intero pianeta.
Ovvero, la minaccia di un possibile surriscaldamento della Terra e il susseguente mutamento del clima globale che potrebbero portare a degli effettivi eventi catastrofici. Catastrofi che, dopo il distacco per scioglimento di intere isole polari e il conseguente innalzamento del livello degli oceani, sarebbero caratterizzate da altissime ondate di Tsunami, da un aumento della frequenza degli uragani e da una repentina glaciazione che in breve tempo lascerebbe scampo solo alle regioni più meridionali del mondo. Sul tema di questa improbabile, velocissima glaciazione, che poi investe buona parte del plot del film, il produttore Mark Gordon è stato chiarissimo: «Il film si allontana dalla realtà scientifica solo nella velocità con cui questi cambiamenti si verificano», ha puntualizzato, aggiungendo che «quando gli scienziati parlano di un “improvviso” mutamento del clima, parlano di 5, 10 anni, non di poche settimane». Un chiarimento trasparente relativo all’ultrarapida glaciazione proposta nel film che quindi dobbiamo accogliere come un espediente drammatico atto a non disperderne la tensione, pur nella consapevolezza che i rischi di fondo esposti nella pellicola sono ben lungi dall’essere mera fiction. Temi sui quali Emmerich ha dichiarato espressamente di volersi battere affinché un film di grande attrazione spettacolare diventi veicolo non solo di intrattenimento ma anche di argomenti e riflessioni che interessano, com’è evidente, tutto il genere umano.
Un invito alla riflessione che non disdegna nemmeno l’attacco diretto all’amministrazione Bush, rea per Emmerich di non aver ratificato il Protocollo di Kyoto volto a ridurre le emissioni nazionali di gas ad effetto serra. Cosa che nel film ha un equivalente nel comportamento della Casa Bianca nei confronti della sottovalutazione dei cambiamenti del clima globale, con un successivo mea culpa pubblico che suona come un implicito invito all’attuale Presidente degli Stati Uniti di ravvedersi rispetto al piano riguardante le politiche ambientali. Un modo assai originale, insomma, di dialogare indirettamente col Presidente americano per il tramite di un film. Il che la dice lunga sull’altissimo livello di dibattito democratico raggiunto negli Usa, ma anche sull’originalissimo stile mediatico utilizzato nel film per divulgare delle tesi scientifiche inerenti al clima globale anche per dei non addetti ai lavori: il pubblico delle sale cinematografiche. Difatti, chi di noi durante la proiezione, apprese certe nozioni, non sarà indotto a chiedersi: e se succedesse davvero? come mi comporterei in quel caso? e cosa posso fare fin d’ora, in prima persona, per allontanare quel pericolo?
Un’assunzione di responsabilità e di interrogativi di fondo che durante le fasi del film metteremo più volte a confronto con le scelte assunte dai personaggi principali. Tutto ciò nell’alveo di un bel dialogo per immagini. Di quelli che non si esauriscono con la porzione di pop-corn consumata ancor prima dei titoli di coda.
A cura di Osvaldo Contenti
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