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Il volto grottesco del fascismo

Il volto grottesco del fascismo

Come nelle feroci caricature satiriche di Georg Grosz, borghese che dileggiava i borghesi, Francesco Laudadio, tramite l’atteggiamento grottesco fatto assumere da alcuni personaggi di Signora, cerca di mostrare (e alcune volte vi riesce) i lineamenti di un fascismo che pur nella sua drammatica nocività si manifestò come fonte inesauribile di comicità involontaria. Praticamente, il ritratto del “premier” italiano di oggi senza il provvidenziale aiuto di Bonaiuti. Una comicità di fondo che veniva foraggiata ogni giorno da una retorica fine a se stessa, dalla tronfia e bislacca sopravvalutazione della propria potenza militare e dall’atteggiamento penosamente servile di ogni classe subalterna. Un teatrino dell’ipocrisia e della stupidità che se non avesse avuto come infrastruttura la pratica della violenza squadrista, ora potremmo annoverare come un ventennio di dietro le quinte dei più riusciti film di Ridolini. Purtroppo, invece, c’era veramente poco da ridere sotto il fascismo. Ogni manifesto dissenso verso il regime veniva represso con la violenza, la galera o il confino, o tutte queste cose messe assieme.

Proprio come capita a Guido (Paolo Seganti), un semplice ingegnere idraulico, nascostamente a capo di un gruppo antifascista, che nel film intreccia un rapporto adulterino con Sarah (Sonia Aquino), una splendida e ricca signora americana sposata con Marcello (Urbano Barberini), un imprenditore edile romano che preso troppo dal lavoro trascura il rapporto matrimoniale, di fatto consegnando la consorte tra le braccia di Guido. Il quale, una volta scoperto a capo della cellula clandestina, verrà condannato al confino nell’isola di Ventotene. A questo punto, Sarah, invece che abbandonare un rapporto così compromettente, farà di tutto per farsi arrestare, tramite delle ingenue quanto eclatanti azioni antifasciste, al solo scopo di ricongiungersi a Guido nell’isola del confino.

Tutto ciò in un finale che contiene un’evidente forzatura, ammessa dallo stesso Laudadio, in quanto è noto che tra i condannati al confino era vietato ogni tipo di rapporto. Un approdo inverosimile della vicenda, che se per il regista appare come un peccato veniale, una “licenza poetica”, dal punto di vista critico è invece impossibile non classificare come una palese incongruenza, che proprio nel finale sfascia il castello di carte di tutta una trama volta ad esaltare l’intelligenza dell’amore sull’ottusità del regime. Detta in soldoni, insomma, non si può modificare la Storia del fascismo a proprio piacimento, se è proprio da una critica della stessa, dalla sua deprecabile volontà di distorcere i dati oggettivi della realtà, che si fa partire tutta la struttura del film.

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