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cultura dell'immagine e della parola

Micronomic – Lali Puna

Brano: Micronomic
Gruppo: Lali Puna
Album: Faking the Books
Regista: Luis Brisceno
Durata: 2 ’57”
Uscita: 2004


Micronomic, l’ultimo videoclip della band tedesca electro-minimale Lali Puna, tratto dall’album Faking the Books, mette in luce le strutture testuali che qualsiasi maniaco di narratologia e semiotica del testo vorrebbe ancora avere l’onore di vedere in TV al posto degli zombie-clip che imperversano su MTV e All Music infettando di banalità il loro palinsesto e la videomusica in generale.

Prima di addentrarci nell’analisi del video è d’obbligo individuare un punto di partenza. Videoclip = ibridazione, contaminazione di linguaggi, quindi = musica = cinema = (ancor prima) valori espressi dall’artista (musicista e regista) e ancora altri possibili incroci che rendono originali le singole realizzazioni. Partiamo quindi dal testo della canzone:

Haven’t you seen the signs of the time?
Where do you want to go?
Where do you want to go now?
Are you the last to know
they’ve changed your future

Possiamo individuare qui il cuore pulsante della canzone, il senso che esprime esplicitamente grazie alle parole: il disagio del tempo che passa, dei valori e degli eventi che cambiano il corso di una vita, di come noi possiamo venirlo a sapere presto o tardi e del disorientamento che questi cambiamenti possono creare.

A livello filmico il regista traduce il testo di queste domande con una strategia discorsiva originale. Come: ponendosi altre domande, che riflettono quelle più esistenziali poste a monte dai musicisti di Micronomic. Il regista si chiede: chi vede? chi parla?
Convoca quindi a livello filmico, le domande poste a livello più profondo dal compositore, il motore vitale ed emozionale della canzone. Il risultato è un giocattolino narratologicamente affascinante.

Ancora qualche concetto.

Parlare
Posto che il narratore è una figura finzionale creata dall’autore (e quindi distinto da esso) per dare voce alla storia e installare quindi nel video un personaggio più o meno esplicito che ci raccontasse quel che succede, ci troviamo di fronte alle vicende (narrate) di una ragazza (Valerie Trebeljahr, voce dei Lali Puna), (l’attrice) persa nel caos urbano come un sacchettino di carammelle sbattuto dal vento lungo i viali. Dal testo della canzone e dal linguaggio visivo che l’accompagna veniamo a sapere che la ragazza ha perso tutti i suoi “teenage idols” e pertanto quei riferimento una volta fissi.

Vedere
Non abbiamo ancora risolto il problema di chi vede, ovvero il modo del racconto, da quale punto di vista cioè è orientata la prospettiva narrativa. Incerti se il racconto di cui il narratore ci parlava era effettivamente visto da qualcuno (il narratore di cui sopra prende anch’esso la forma di un personaggio), ci accorgiamo come ad un certo punto esso sia veramente l’oggetto di uno sguardo. L’effetto è spiazzante perché chi guarda ha esattamente le stesse fattezze fisiche della ragazza (in realtà è il suo alter ego) che vedevamo vagabondare per le vie di monaco durante i primi secondi del clip. Le stesse sequenze scorrono al contrario e adesso l’oggetto dell’osservazione è l’alter ego dotato di super 8 che per i primi secondi del clip stava filmando senza che lo spettatore potesse rendersene conto. [img4]L’alter ego è un semplice riflesso fisico dell’attrice confusa e persa di inizio clip: questo infatti sa quali strade percorrere, ritorna a casa, srotola la pellicola la carica su un proiettore per rivedere se stessa (sono le stesse scene iniziali del video). Ad un tratto però lo sdoppiamento si fa definitivo: l’inquadratura sull’alter ego che guarda il filmino che raffigura se stessa è in realtà un altro inganno narrativo: siamo infatti davanti alla soggettiva dell’attrice (l’anima persa) inziale, che ripiomba sulla scena dopo la scomparsa (il risucchio simbolico nella pellicola della super otto del suo alter ego). Con una trovata registica interessante, essa ritorna in scena grazie alla proiezione del filmino stesso. Una sorta di mise en abime alla magritte: un inserto che rappresenta l’opera stessa ma che non guarda semplicemente la scena, ma agisce, e uccide. All’interno del processo filmata-proiettata, l’attrice iniziale viene infatti catturata, scomparendo, per poi scappare nuovamente dalla macchina che l’aveva rapita.

Il tapirulan finale trascina l’attrice verso un altro cerchio a ripetizione infinita, nel quale l’alter ego ricomparirà, la strapperà ancora dal suo smarrimento per metterla di fronte alle sue paure. Queste infine sgoccioleranno fuori dalla celluloide con la luce che la trapassa, si riformeranno e saranno ancora letali. Il film ricomincia.

Guarda il video a questo indirizzo

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