La cameraman e gli assassini
Dopo i primi istanti l’atmosfera sembra quella di un poliziesco classico in cui un misterioso uomo con la pistola attraversa la notte ed entra furtivamente in una casa buia, poi le immagini, il ritmo della colonna sonora e la voce fuori campo ci avvisano che ci aspetta qualcosa di diverso. Un noir a sorpresa per l’autore di “commedie d’amore” Cèdric Klapisch; grande consumatore di polizieschi, “aveva voglia di fare un film di genere” e, con rispetto dei grandi autori (il regista cita Huston e Scorzese), cerca la citazione senza cadere nella caricatura. Il rigore formale dei suoi predecessori è sostituito dalla discontinuità di tono, stilistica e narrativa, che rappresenta allo stesso tempo l’idea forte e il limite del film. La prima parte è un hold up movie (film di rapina) che con tono leggero, personaggi simpatici e sbruffoni e gag divertenti e paradossali introduce lo spettatore nel mondo del piccolo crimine. Rispetto al poliziesco transalpino anni 50’ Pigalle si è trasferita agli Champs Elysès e il rifugio-brasserie di Grisbì (Jaques Becker, 1953) è diventato un nightclub. Il Polar (il noir francese) trionfa nel finale quando il destino ineluttabile, l’ambiguità dei personaggi e la violenza esploderanno senza appello.
Una gang molto francese
Ottimo il cast e ben costruiti i personaggi: una banda eterogenea guidata da Jean con la passione per le scarpe, Mouss il coreografo, “Lecarpe” che vende kebab e naturalmente Cathy (Marie Gillain), l’operatrice di cinegiornali, la ragazza annoiata e solitaria ripresa nel palazzo alveare e davanti all’infinito mare del nord. La giovane varcherà il confine tra solitudine e crimine e la sua trasformazione sarà brusca (troppo) come il cambiamento di tono della storia. Con il personaggio di Cathy, Klapisch gioca con la presunta misoginia del noir dove la Dark lady predatrice attira l’uomo in mondo di passione e delitti; qui “sembra” lei la vittima innocente che scopre se stessa attraverso il crimine e la sua femminilità indossando i panni di una prostituta.
Cinema e crimine
L’autore si è documentato presso poliziotti e banditi ma la questione dello stile è per lui preminente rispetto alla veridicità della storia. Il montaggio è lento e i movimenti morbidi della mdp indugiano con riprese frontali sui primi piani dei personaggi. Bellissime le sequenze ambientate nel deposito valori dove gli attori attraversano inquadrature composte da ripetute combinazioni geometriche di linee e da colori notturni e psichedelici. In Autoreverse ricorre spesso il parallelo cinema-crimine come nella scena in cui tutti caricano le pistole e Cathy la sua cinepresa o quando la banda alloggia all’Hotel Carlton di Cannes che ospita i divi durante il Festival; un’intuizione che andava sviluppata come nel bellissimo e terribile Il cameraman e l’assassino (C’est arrivè près de chez vous, 1992 di Belvaux, Bonzel e Poelvoorde) in cui una troupe segue un killer mentre la distanza tra chi filma e chi uccide tende a scomparire. Rimane apprezzabile il tentativo, solo in parte riuscito, di reinventare sul grande schermo il filone poliziesco, oggi pericolosamente esiliato in tv, che resta, parole dello scrittore francese di noir anarchici Jean Patrick Manchette, “un genere morale”.
Curiosità
Il titolo, spiega Klapisch, “traduce una condizione del mondo alquanto assurda e un’epoca nella quale regna una certa confusione, è il punto di vista di Cathy ma è anche quello di un’epoca”.
Marie Gillain, attrice interprete tra l’altro di Harem suarè di Ferzan Ozpetek (1998) e La cena di Ettore Scola (1998) è anche la ragazza “acqua e sapone” nella pubblicità della Lancome.
A cura di Raffaele Elia
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