Fame da vedere
Fame chimica è una pellicola da vedere.
Fame chimica è una pellicola da vedere, e non perché ci racconta una storia comune, fra ragazzi comuni, in un ambiente, quello metropolitano, talmente decontestualizzato da poter appartenere a qualsiasi città (il film è stato girato a Milano); e non è per il linguaggio, uno slang in continua evoluzione, che cambia e muta come l’aspetto dei quartieri e della gente che li abita, che questa pellicola merita il favore di pubblico e critica; e non solo perché affronta uno dei tanti problemi di integrazione e lotta sociale merita di essere un documento di interesse nazionale e da mostrare ai più giovani. Fame chimica è un film da vedere non solo perché fa tutto questo, ma perché lo fa con serietà, intelligenza e grande coraggio da meritarsi elogi e inchini da tutto il cinema italiano.
La grande capacità dei due registi è stata quella di coinvolgere tutti coloro che hanno partecipato alle realizzazione del film, dallo sceneggiatore agli attori, dalla produzione ai compositori, letteralmente “stringendoli” attorno alla pellicola: il risultato è stato quello di ottenere un lavoro di rara coralità, in cui si avverte il massimo impegno ad ogni livello; abbastanza eclatante in questo senso è la prova offerta soprattutto dagli attori non professionisti, quasi tutti trovati durante i casting avvenuti sulle panchine di diverse città italiane, che sono riusciti a trasmettere una incredibile naturalità nell’espressione, rendendo così i loro personaggi talmente veri da far apparire Fame chimica, a tratti, un documentario.
Un elogio particolare va alla capacità di mantenere una semplicità e un’immediatezza degne di nota: i personaggi, ad esempio, sono descritti con fulminante rapidità, ma con quell’attenzione che coglie i tratti decisivi e li traduce in un’espressione del viso, in un indumento, in un’acconciatura, in uno sguardo o in una battuta; la semplicità nella narrazione, lo sviluppo dei personaggi e l’azzeccatissima colonna sonora costruiscono un film coinvolgente e diretto, che comunica con messaggi precisi, senza la presunzione di colpire o di stupire il pubblico con esagerazioni, troppo spesso invece concesse a tutto il cinema indipendente.
Un applauso e un inchino.
• Vai all’intervista al regista Antonio Bocola
A cura di Luca Bocedi
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