Il corpo del mostro
Un esordio molto passionale quello della regista Patty Jenkins, che dopo una lunga gavetta ha portato sullo schermo la storia vera di Aileen Wuornos, giustiziata il 9 ottobre 2002 in Florida a mezzo di iniezione letale, con l’accusa di aver ucciso sette uomini. Un film dove lo spirito e la delicatezza femminili sono particolarmente forti: la Theron ingrassata di tredici chili per fare il corpo di Aileen completamente suo, la regista Jenkins, che è riuscita a conquistarsi la fiducia della serial killer in quei dodici anni di reclusione nel braccio della morte.
Un progetto con delle basi molto forti e una motivazione attenta al rispetto della vita trascorsa dalla Wuornos. Infatti, le voci fuori campo del film che raccontano i pensieri della protagonista, sono state elaborate in base agli scritti dal carcere che lei stessa inviava ad una sua amica. Inevitabilmente, il film si dichiara da subito come “tratto da una storia vera”, ma poi nella voce off sentiamo Aileen che dichiara come da piccola le sarebbe piaciuto diventare la star di un film. E le scelte di recitazione della Theron sembrano voler rispondere a questo desiderio mai esaudito: tutto il racconto filmico si appoggia sul mastodontico e sgraziato corpo di Aileen, cercando i primi piani dei suoi occhi pesanti, mostrando con naturalezza e rispetto un corpo sfatto che da solo è in grado di raccontare la disgrazia di una vita intera. Intorno a lei, le luci sporche e cupe tendono ad aggiungere all’atmosfera quel senso di oppressione che è già inscritto nel corpo della Theron, una macchina attoriale che riesce a cancellare la propria presenza per riempirsi di quella del personaggio. Aileen sembra sempre non riuscire a stare dentro l’inquadratura in maniera ordinata, è scomposta, un elemento che immediatamente si percepisce come stonato o ordinato male, fisicamente ingombrante anche per un film fatto su di lei.
Questo disordine si riflette chiaramente nella coppia di Aileen e Shelby: una “strana coppia” dove poco o niente sembra coincidere, dal divario di altezza tre le due, dove la gigantesca Aileen da l’impressione di schiacciare la piccola Shelby, dai gusti sessuali, che per Shelby sono definiti con sicurezza, mentre Aileen è solo in cerca di un amore, di qualsiasi sesso sia tratti. La mora Shelby, piccola e fragile, insicura e inerte alla vita, una donna bambina e la bionda Aileen, grande e grossa come un uomo, fragile ma con la forza di agire e di imporsi sulla vita.
“Tutto è bene quel che finisce bene”, “non tutti i mali vengono per nuocere”, recita la voce off di Aileen mentre cammina sul miglio verde, “Qualcosa devono pur dirti”. Fino alla fine il divario incolmabile tra la cosiddetta vita normale dei buoni e la vita abbruttente dei mostri cerca di annullarsi, di unire le due cose, di sciogliere le cose brutte nell’acido di quelle belle. Per tutto il racconto si sente questa tensione a salire in superficie: ad ogni occasione Aileen tenta di aggrapparsi a qualcosa di buono, che sia Shelby, che sia un omicidio. Tutto può essere utile per cambiare, per entrare nella vita dei buoni.
“Qualcosa devono pur dirti”, ma per i mostri non c’è altra possibilità che continuare ad essere dei mostri.
Curiosità: Charlize Theron è l’unica attrice nella storia del cinema ad aver vinto per un unico film il Premio Oscar – Miglior Attrice Protagonista, il Golden Globe – Miglior Attrice, il Festival di Berlino – Miglior Attrice, lo Screen Actors Guild – Miglior Attrice.
A cura di Francesca Bertazzoni
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