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cultura dell'immagine e della parola

Intervista ad Antonio Bocola


In Fame chimica siete riusciti a rendere molto bene il linguaggio giovanile. Volevamo sapere se i ragazzi che sono stati coinvolti nel film, di cui molti non avevano nessuna esperienza di recitazione, hanno anche contribuito ad arricchire il linguaggio utilizzato.

Per noi era fondamentale che il linguaggio in questo film fosse quello giusto, corrente e che non risultasse fake, falso. In questi anni di lavori documentaristici sul mondo giovanile ci siamo fatti un po’ l’orecchio e siamo sensibili a questi aspetti.
Il film Fame chimica ha ricercato davvero in quasi tutte le piazze d’Italia i suoi protagonisti, abbiamo fatto il casting sulle panchine, negli stadi, nelle discoteche, nei centri sociali, in tantissimi altri posti. Una volta costituito un gruppo di ragazzi, abbiamo iniziato una sorta di laboratorio con loro, per verificare se quello che era scritto nella sceneggiatura fosse sentito. Abbiamo realizzato una sorta di upgrade culturale, abbiamo confrontato i nostri contenuti con la lingua viva, corrente dei ragazzi. Ad esempio, ad un certo punto Franz (Francesco Scarpelli, NdR) aveva scritto qualcosa del tipo: “Andate a fare il via ai motorini?”. E tutti quanti hanno detto: “Fare il via? Si dice scavallare!”. Tutto questo è stato d’aiuto anche per i professionisti: per il professionista la spontaneità è un punto d’arrivo, mentre era l’unica cosa che i non professionisti avevano in partenza. La contaminazione è stata davvero positiva: ha permesso ai professionisti di smollarsi un po’ e di approcciare in modo diverso il lavoro su loro stessi, ed è stato di grande motivazione per i non professionisti avere a che fare con persone che facevano parte di questo mondo, del teatro, del cinema, che comunque erano di mestiere.

Per quale motivo avete scelto un artista napoletano come Zulù come parte fondamentale della colonna sonora di un film che racconta la periferia milanese?

In verità noi non volevamo che fosse un film milanese. Noi siamo di Milano e per noi essenzialmente lo è, però il nostro intento era quello di ricostruire l’etica del conflitto metropolitano in modo intenso, sanguigno, vivo. I tamburi degli E Zési, che è un gruppo importantissimo della cultura italiana, un gruppo operaio di Pomiliano d’Arco, hanno costituito con le loro tamorriate e pizzicate il tappeto sonoro della piazza, e rendono una sensazione davvero popolaresca, sanguigna. Ci interessava fare questo: stendere un tappeto martellante, coinvolgente.

C’è una spaccatura abbastanza netta fra il mondo dei giovani e quello degli adulti, che sembrano occupati da cose completamente diverse, quasi senza importanza.

Dal nostro punto di vista il mondo adulto è quello che esce sconfitto. Anzi, parte sconfitto e lo resta, perché è quel mondo adulto che non è stato capace di crescere, di reinventarsi, di cambiare. Io ho 37 anni e la generazione appena precedente alla mia si è dissolta nell’eroina, nel terrorismo oppure sono diventati socialisti o degli yuppies e noi non abbiamo avuto dei riferimenti a cui aggrapparci, nessun tipo di spinta. Abbiamo dovuto reinventare un po’ tutto.
Invece i giovani di adesso hanno grandissima vitalità, magari poi sfociano anche in comportamenti deviati/devianti, ma perché hanno una solitudine di fondo, non sono seguiti dal mondo adulto quanto potrebbe fare.
È evidente la spaccatura fra i due mondi. Da una parte c’è la solitudine e una grande vitalità, dall’altra c’è cecità, sordità e la voglia di costruire le recinzioni e di mantenere pulito il proprio giardino.

Dopo aver realizzato Fame chimica, la Cooperativa Gagarin sta lavorando ad altri progetti?

La Cooperativa Gagarin è nata in occasione del film Fame chimica, però è destinata a rimanere nel mercato, ha dei progetti culturali da portare avanti. Si tratta di proposte produttive che escono dal mercato cinematografico italiano, che come si sa ha grandissimi problemi. Il nostro è un tentativo: se Fame chimica avrà un buon riscontro col pubblico nelle sale, vuol dire che la nostra intenzione di rischiare per portare un certo tipo di prodotto e quindi determinerà anche molto del futuro della cooperativa Gagarin.

E l’associazione Fame chimica?

L’Associazione Fame chimica riunisce tutti gli operatori che hanno lavorato con noi e che mantiene le quote di proprietà di ognuno di loro. Questo film è fatto in copartecipazione reale: ognuno di noi è proprietario del film e avrà vita natural durante tutti i proventi di quota dello sviluppo del film. È una forma di produzione innovativa.

Avete dichiarato che questo film è partito dall’interesse di riscoprire il mondo che era stato vostro. Quali differenze avete trovato?

Le differenze non si contano. Le cartine sono sempre uguali, sempre di carta e sempre con poca colla… Sono cambiate le musiche, le droghe, gli stili di vita. La gente si mette i piercing ovunque…
Per poter realizzare Fame chimica anche noi ci siamo dovuti approcciare con curiosità e interesse a questo mondo, proprio per indagarlo.

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