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cultura dell'immagine e della parola

Vangelo e Passione Pag. 2

Pasolini o l’inafferrabilità del Sacro

Inutile ricordare il pensiero o cercare di delineare le linee guida di uno dei più grandi (per qualità, ma anche per quantità) intellettuali italiani e non, della seconda metà del secolo appena passato.
Un artista che si è espresso in molte forme (poesia, narrativa, saggio, cinema, pittura) e sempre in modo sorprendentemente lucido e personale.
Qualche sua dichiarazione diventa però utile per chiarire le modalità con cui Pasolini si accosta e decide di affrontare il Vangelo e il Cristo.
Dichiara ad esempio: «Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato ed Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile.»
O ancora: « io ho potuto fare il Vangelo così come l’ho fatto proprio perché non sono cattolico, nel senso restrittivo e condizionante della parola: non ho cioè verso il Vangelo né le inibizioni di un cattolico praticante (inibizioni come scrupolo, come terrore della mancanza di rispetto), né le inibizioni di un cattolico inconscio (che teme il cattolicesimo, ripeto, come una ricaduta nella condizione conformistica e borghese da lui superata attraverso il marxismo).»

Si accosta quindi da esterno, da ateo e marxista qual era ma con profondo rispetto e stima nei confronti della figura e della vicenda da cui si accinge a realizzare una trasposizione cinematografica.
Proprio il rispetto è la sensazione che maggiormente trasmettono le due ore e mezza del film, una posizione a debita distanza che si traduce in una macchina da presa che, con grande pudore, racconta e filma l’inesprimibile e quindi l’infilmabile: il Sacro, il divino.
Sono questi, a mio avviso, i termini, le linee guide, che identificano il film e la posizione morale ed estetica del suo autore: rispetto, distacco (non per disinteresse o disprezzo, ma al contrario per la consapevolezza che mai si potrà giungere a esprimere, a descrivere un qualcosa di così enorme come il divino, anche per il non credere di fondo), da cui deriva una pratica estetica contraddistinta da un rigoroso pudore e da una cristallina spiritualità.
Pasolini si rende conto che sta per raccontare l’inesprimibile, un qualcosa che non può comprendere, anche in virtù del suo ateo marxismo.
Non per questo però, non deve trapelare il fascino infinito che il Cristo ha sempre esercitato su di lui (e qui si potrebbero scrivere tesi intere), espresso con il rigore che contraddistingue l’intera sua vicenda artistica e umana.

Valga qui solo l’esempio di come risolve la sequenza del confronto, dopo l’arresto, di Cristo con Caifa.
La mdp rimane lontana, distante, mescolata alla piccola folla che assiste a debita distanza.
La mdp (l’autore?) si identifica con una persona che, per pudore o per necessità, rimane lontana: non una persona a caso, poiché l’inquadratura si rivela essere la soggettiva di Pietro.
Una mdp che regala una visione disturbata (dalle teste e dai corpi che compongono la piccola folla), parziale e distante.
Così in antitesi della visione privilegiata, tesa a dare allo spettatore quella migliore possibile per raccontare la vicenda che un certo cinema hollywoodiano pratica da decenni, il poeta laico non se la sente di avvicinarsi troppo, rimane lontano, per rispetto e pudore.

La breve sequenza è emblematica dell’intera posizione in cui Pasolini sceglie di collocarsi, da cui scaturisce una pratica di regia e l’intera estetica alla base del film.
Una posizione di rispetto e di distacco che dà vita a una messinscena profondamente appassionata, pudica e nello stesso tempo espressione di grande rigore e limpida spiritualità.
L’unica forse possibile nell’accostarsi, cercando di esprimere, il mistero del Sacro e del Divino.
Del trascendente.
Che appunto, mistero deve rimanere.[img4]

Del resto è lo stesso Pasolini a dichiarare: «Forse è perché sono così poco cattolico che ho potuto amare tanto il vangelo e farne un film».

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