L’estetica della prostituzione
Dimenticate le tecniche di ripresa tipiche del documentario d’inchiesta, come la presa diretta, la mdp a mano, le immagini poco contrastate, la luce naturale e le inquadrature approssimative, in Yo puta, la giovane regista spagnola Luna opta per l’innovazione. Delle caratteristiche formali del genere rimangono solo il montaggio serrato e le riprese frontali con gli sguardi degli intervistati fissi in macchina. Ogni scena è una confezione di immagini monocromatiche nel segno dell’eccesso, con sfondi di nuvole, di variopinti murales o scorci di strade periferiche dai colori acidi illuminate da luci al neon che sembrano pagine di Vogue o scenografie per una sfilata di Tom Ford. Davanti a letti di camere d’albergo alcune prostitute, poste volutamente al lato dell’inquadratura per far risaltare l’ambientazione, raccontano le loro esperienze. Quando poi si arriva al tema del sadomaso, le raffinate composizioni sono palesemente ispirate alle foto di Helmut Newton.
La regia protagonista
Il film sperimenta, quindi, un approccio innovativo all’interno del filone della docu-fiction discostandosi dai precedenti esperimenti sul tema come Whore” (puttana) del 1991 in cui Ken Russell riprendeva monologhi gesticolati e sgradevoli, senza far notare la presenza della mdp. La regia di Luna è invece invasiva, con scene in movimento e inquadrature attraversate da effetti visivi che sfruttano tutte le possibilità creative della manipolazione digitale. L’effetto videoclip è completato da una colonna sonora molto “cool” che va da Mina all’hip hop. A volte poi la mdp si sovrappone alla cinepresa di registi di film porno e lo schermo rettangolare del cinemascope diventa quadrato. Inutili appaiono gli intermezzi “fiction” che si avvalgono di due star di Hollywood, Daryl Hannah e Denise Richards che interpreta in modo naturale una studentessa di antropologia! che si da “alla vita”; una sit-com che non aggiunge nulla al film e ne rallenta il ritmo tenuto alto dal montaggio frammentato. Da notare una citazione (consapevole?) di Un anno con tredici lune (In einen jahr mit 13 monden, Rainer W. Fassbinder, 1978) quando un protettore racconta la sua storia davanti a teschi di mucche sospesi sopra secchi di metallo.
Denuncia dispersa nel look
Luna gioca con il voyeurismo dello spettatore che cerca di catturare mostrando più che denunciando. Impercettibilmente i discorsi virano verso gli aspetti deteriori del “mestiere”, paura, schiavitù, squallore e violenza; questi accenni però si disperdono nei colori sgargianti anni 80’ e nel videogioco che presenta tre porno-star con sagome colorate in stile Charlie’s Angels. Il messaggio della prostituzione come abuso, sottilmente insinuato dal contrasto tra immagini fashion e inquadrature oblique e crudo linguaggio, rischia di perdersi in un esercizio estetico-intellettuale non comprensibile ai più. La morale?: gli uomini sono un buon affare nel mercato delle illusioni e della fantasia (come il cinema?).
Curiosità
La giovane regista spagnola Luna ha esordito, senza passare per la gavetta del cortometraggio, con il dramma sociale My gun; ha poi diretto Naufragos, girato negli studi di Hollywood con star come Vincent Gallo e Maria De Medeiros e attualmente sta preparando Guerriero, l’avventura, una produzione internazionale girato direttamente in lingua inglese.
Come direttore della fotografia Yo puta si avvale di Ricardo Aronovich, tre volte premio Oscar, 4 volte palma d’oro a Cannes.
A cura di Raffaele Elia
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