Il Cristo di Pasolini
Dopo l’episodio La ricotta all’interno di Ro.Go.Pa.G. (1963), in cui un proletario che interpreta un ladrone in un film sulla passione muore sulla croce dopo essersi ingozzato di ricotta durante la pausa delle riprese, Pasolini si riaccosta alla materia sacra. Lo scrittore-regista ha alle spalle due film importanti come Accattone (1961) e Mamma Roma (1962) con il quale ha affermato il suo talento e il suo stile e ha portato sullo schermo il sottoproletariato urbano dei suoi romanzi.
Pasolini decide da subito di rimanere fedelissimo al testo di Matteo, sia nella lingua che nella struttura narrativa. Ecco quindi che il film viene a strutturarsi per episodi, scene chiuse in sé, come sono appunto i capitoli del testo sacro, con i suoi salti temporali, le sue ellissi narrative, e uno stile molto asciutto nel raccontare la realtà, che da sempre aveva connotato il Pasolini regista.
Dopo un primo sopralluogo in Palestina, Pasolini decide di girare il film nel sud Italia, a Matera, per ritrovare luoghi e atmosfere analoghe al Vangelo. Pasolini riprende con primi piani ravvicinatissimi i volti dei contadini e dei pescatori del Sud, sdentati, con la faccia mangiata dal sole e dal vento, che vanno a formare un cast di soli non professionisti. Una straordinaria fotografia di Tonino Delli Colli (riconsegnataci nel suo splendore grazie al restauro) contribuisce a restituirci questo mondo ancestrale, con i suoi squarci di luce improvvisi.
Cristo, impersonato da uno studente catalano che stava svolgendo una tesi sulla poesia di Pasolini, non ha i lineamenti morbidi dell’iconografia rinascimentale, ma sembra più vicino ai Cristi medievali, più severi e duri in certi espressioni. Quello di Pasolini infatti è un Cristo poco pacificatore, un Cristo che sorride pochissimo, consapevole della sua missione e del fardello che porta sulle spalle, conscio della portata rivoluzionaria delle sue parole.
Il regista-scrittore opta per una scrittura filmica liberissima, utilizzando molto la macchina a mano, ma ricorrendo spesso a campi lunghissimi o a primi piani molto ravvicinati, come nella stupenda scena del discorso sulla montagna, in cui la macchina da presa non si discosta mai dal volto di Cristo.
L’occhio del Pasolini ateo, ma profondamente attratto dalla figura di Cristo e dal suo messaggio, si percepisce in ogni momento del film: c’è una sorta di tensione tra due direzioni opposte, quella del Pasolini laico, più politico, e quella del Pasolini assolutamente affascinato e rapito dalla figura di Cristo. E nasce proprio da questa tensione lo straordinario equilibrio formale che caratterizza il film, che è probabilmente la sua forza più grande, ciò che lo ha reso un film molto lucido, ma alllo stesso tempo capace di riproporci il profondo messaggio di Cristo in tutta la sua profondità.Si spiegano quindi in questo senso alcune scelte di Pasolini, come quella di riprendere il processo a Cristo con la macchina da presa a mano, coincidente con la soggettiva di Pietro, posizionato alle spalle degli astanti, lontano dal fulcro della vicenda. Lo stesso avviene con il calvario e poi con la crocifissione: Pasolini e lì tra la folla di coloro che assistono alla tragedia, ma non può essere a fianco, o di fronte a Cristo, perché il cinema ha una sua etica della visione e oltre a quel punto probabilmente non può spingersi, non può arrivarci.
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