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Festival del Cinema africano: Intervista alla direttrice

Un bilancio della quattordicesima edizione.

Siamo soddisfattissimi. E’ stata un’edizione che era nata un po’ come una sfida perché si proponeva un cambiamento importante che era quello dell’apertura nella competizione dei lungometraggi all’Asia e all’America Latina, e invece tutto ha funzionato perfettamente e la gente ha capito il senso, i registi africani prima di tutti. All’inizio avevano paura di perdere un po’ di spazio, poi invece hanno capito che questo confronto era assolutamente positivo, stimolante e apriva nuove prospettive.
Il pubblico ha seguito con entusiasmo: gli affezionati hanno continuato a concentrarsi sul cinema africano, mentre i giovani hanno preferito soprattutto quello che era la novità, come ad esempio l’underground cinese. L’affluenza è stata enorme, più volte abbiamo dovuto bloccare con rammarico gli spettatori perché le cinque sale non erano sufficienti, tant’è che per l’anno prossimo stiamo già pensando di procurarci nuovi spazi.
Questo fatto è molto importante perché va nettamente in contrapposizione con quelle che sono le scelte dei distributori e della televisione, che si ostinano a considerare il pubblico italiano viziato e razzista, che vuole vedere solo Hollywood, ma invece non è assolutamente vero, e questo festival ne è la dimostrazione.

Porterete il Festival in giro per l’Italia?

Il festival è in questi giorni in due cinema a Roma, e da stasera si apre uno speciale al Politecnico di Roma promosso da Fandango in cui sarà proiettata la serie completa di Project 10, i documentari per il decimo anniversario della fine dell’apartheid.
A questo proposito c’è da dire che il Sudafrica ha avuto un ruolo importantissimo in questo Festival, sia per la retrospettiva che gli è stata dedicata, sia per la tavola rotonda alla quale sono intervenuti tra i più autorevoli produttori sudafricani, alcuni registi storici e i giovani cineasti con le loro nuove proposte. Poi c’è stato un finale molto interessante perché da Milano ci siamo spostati a Roma con alcuni dei produttori sudafricani e abbiamo favorito un incontro con i produttori italiani, perché è stato firmato a Dicembre un accordo di coproduzione tra i due governi a Cape Town e noi come festival volevamo dare la possibilità di agire nel concreto. Cioè non solo leggi firmate ma anche progetti che possano dare dei risultati concreti.

Qual è lo stato di salute del cinema africano in questo momento?

Non è malato assolutamente, direi che ha superato la fase dell’adolescenza che era quella del cinema di denuncia, del cinema epico: un periodo di grande successo che è andato dal ‘90 al ‘93 in cui il cinema africano era vincitore nei vari festival. Ha raggiunto adesso una sua maturità, per cui ha imparato a riflettere, a guardarsi dentro, ad essere quindi più introspettivo, a trovare per esempio il filone della comicità. Come contenuti è un cinema ricco, sempre meno legato a quei cliché che contrapponevano ad esempio il villaggio alla città caotica. Adesso il cinema africano è un cinema decisamente urbano, spesso viene girato a Londra o nei sobborghi di Parigi. E’ un cinema più meticcio, più ricco di idee e coraggioso, che sta affrontando argomenti che prima non era mai stati toccati.
Però economicamente è un cinema debole perché dai governi locali non ci sono praticamente aiuti e la Francia, che è il grande sostenitore per eccellenza, ha avuto dei cambiamenti di politica per cui, nonostante sia sempre presente, ha ridotto di gran lunga gli aiuti. Diciamo che la nuova sorgente sono o le produzioni sud-sud, come abbiamo visto per il caso del Sudafrica, oppure attraverso le televisioni: il nuovo grande cespite che permette al cinema africano di esistere sono le produzioni televisive. Purtroppo la televisione italiana è assolutamente estranea a queste iniziative. E se una volta riuscivamo a far passare su Fuori Orario di Ghezzi alcuni film alle tre del mattino adesso la chiusura è totale, direi disperata. Ed è un peccato perché il pubblico italiano è pronto, ed proprio soltanto un discorso di distribuzione, d’altronde non si vede neanche il buon cinema italiano…
Tornando al cinema africano vorrei aggiungere una cosa: mentre prima si spargeva denaro per aiutare i registi africani, che era denaro soprattutto politico, per far vedere quanto la Francia era buona con i neri e li si invitava al festival di Cannes a braccetto con il ministro della cultura, adesso i fondi sono diminuiti. In questo modo però, vengono forse privilegiati i veri registi, quelli con più talento. C’è stata come una sorta di selezione naturale.

Come vi state muovendo per la prossima edizione?

Vorremmo mantenere questa apertura al Sud del mondo, praticamente un festival dei tre mondi. L’attenzione sarà incentrata ovviamente sul cinema africano, con cui abbiamo un rapporto storico: il COE ha prodotto in piccola misura alcuni film africani e ne ha distribuiti più di cento nel circuito d’essai.

Qual è appunto il ruolo del COE a livello di produzione e distribuzione?
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Oltre ad organizzare il Festival, che non è solo una vetrina dove passano delle meteore, il COE lavora tutto l’anno sul cinema africano. Ha un circuito d’essai attraverso il quale affitta pellicole ad università e cineclub che vogliono fare delle rassegne. Edita delle cassette e dei DVD e poi svolge un’azione di appoggio a chi si occupa di cinema africano: matte a disposizione un archivio con molto materiale per chi vuole fare, ad esempio, una tesi sul cinema africano. Anche se ora non è più in grado di sostenere gli sforzi produttivi più importanti che ha fatto in passato. Tra l’altro denuncio che il cinema africano ha perso quello che è stato per tre anni il suo principale sostenitore, cioè l’ENI. Ci battiamo quindi con piccoli e modestissimi aiuti dalle istituzioni. Senza l’aiuto dei volontari che collaborano durante tutto l’anno, il festival non si potrebbe mai fare, occorrono nuovi aiuti e sponsor. […]

L’anno scorso il film vincitore era stato distribuito nelle sale, quest’anno?

“Mille mois” è già nelle sale. Comunque nella giuria scegliamo sempre persone che abbiano a che fare con il mondo della televisione e della distribuzione. Quest’anno c’era il Direttore Generale di Cult Network, che il prossimo autunno dedicherà un mese intero al cinema africano. C’era poi la tv svizzera, che diffonderà alcuni documentari. Ecco, noi facciamo questa promozione reale, affinché la gente possa vedere veramente i film africani.

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