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Parole danzanti

Parole danzanti

Che Altman fosse un amante della sperimentazione era noto, e con questo film il regista ce lo conferma in pieno, offrendoci un prodotto unico nel suo genere e assolutamente fuori dagli schemi.

Prima di tutto, la scelta del tema: dopo tanti film sulla danza che hanno dato vita a un vero e proprio filone alquanto ripetitivo, finalmente Altman ci svela che danzare non è solo sudare in una fonderia di giorno per poi allenarsi e raggiungere il successo nell’immancabile lieto fine. In questo film l’intreccio è pressoché annullato a favore di suggestioni di tutt’altro genere; infatti, Altman affida all’esperienza visiva e sonora tutta la potenza espressiva lasciando spazio a pochi dialoghi di pregnante intensità. La sensazione trasmessa è perciò quella di un mondo in cui la comunicazione umana è minima, scevra di ogni sentimento e in cui non c’è spazio per relazioni umane che non siano intimamente connesse con la professione. Emblematica a questo proposito la vicenda della Campbell, che nel film chiude la relazione con un compagno ballerino e ne inizia una con un cuoco, completamente estraneo al mondo della danza e che ha la funzione di ancora di salvezza per il suo equilibrio psicologico.

Fondamentale nel trasmettere un senso di grande fragilità umana è l’abbondante uso di specchi nella maggior parte delle scene, che permette ad Altman di mostrare nelle inquadrature elementi della scena altrimenti invisibili. Spesso le parti specchiate sono i volti dei personaggi, come a voler simboleggiare che tutti i protagonisti portano un velo che copre la loro più intima essenza e che si può sollevare solo facendo ricorso a trucchi particolari.

Il cast, composto per la maggior parte da ballerini professionisti e non da star hollywoodiane, è perfetto nel trasmettere, grazie alla sua anonimità, una sensazione di quotidianità dura fatta di costanti sfide e frequenti sconfitte, dominata da una persistente caducità. Importante a questo proposito il ruolo di McDowell, unico attore di un certo rilievo che anche nel film interpreta un ex ballerino di straordinaria fama, impegnato nella direzione della compagnia. Caratterizzato da un grande cinismo, come tutti i suoi collaboratori, nella gestione “amministrativa”, si trasforma in un artista di grande sensibilità nei pochi discorsi sulla danza che tiene alla sua compagnia.

Fondamentale in questo senso anche l’impiego magistrale delle luci, ma soprattutto di colori e suoni, nel sottolineare i momenti di straordinaria poesia nelle sequenze di danza. In queste scene, infatti, l’umanità costretta e annichilita dei ballerini emerge in maniera prepotente e grandiosa, mostrandoci come nell’espressione della loro arte essi siano creature dotate di eccezionale sensibilità e di infinita leggerezza, liberi finalmente dal velo delle relazioni umane di ogni giorno.

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