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Percorsi malati

Percorsi malati

Percorso di crescita (di Stefania Di Mascolo)

“Più scura è la notte, più vicina è l’alba” (N. Daishonin).

L’amore ritorna descrive il percorso che porta un uomo ad accettarsi e a riunificarsi. La causa scatenante di questa evoluzione è la malattia che obbliga a smettere di “fare” e di “essere” e costringe a guardare, a essere spettatore della propria vita. Compito particolarmente difficile per Luca (Bentivoglio), il personaggio principale del film, che nella vita fa tutto l’opposto: l’attore.

L’amore ritorna racconta la storia di una lacerazione interiore attraverso il contrasto, inteso come risultato di due forze opposte. Luca è un uomo scisso. Scisso geograficamente e temporalmente. Geograficamente perché rifiuta le sue origini di uomo del meridione d’Italia, che però non accetta nemmeno il suo trapianto a Milano; temporalmente perché rifiuta il suo passato, ma non abbraccia neanche il suo presente. Questo fa di lui un personaggio complesso, congelato, che Rubini descrive attentamente in tutte le sue sfumature, affidandosi non solo alla recitazione di Bentivoglio, ma soprattutto servendosi del linguaggio delle immagini.Si vedano, ad esempio, scene come la corsa liberatoria di Luca, trasportato su una barella da due personaggi perfettamente opposti, per le strade di una Milano avvolta dal tramonto; o la scena in cui il protagonista si sveglia in una sala d’ospedale, scende dal letto, nudo, e vede accanto a sé un altro letto in cui giace proprio lui, Luca. Queste sono solo alcune scene esemplari del modo in cui il regista descrive la situazione psicologica del personaggio principale. Ma Rubini sceglie anche un altro modo per rappresentare questa divisione interna: la colonna sonora, che, se nelle sue linee principali è affidata a dei giovani (Iusco e Ferrandini) e presenta quindi delle sonorità tipiche della contemporaneità, è accompagnata anche dalla presenza di vecchie canzoni come Amore baciami e Voglio vivere così.

Anche nella sceneggiatura è possibile cogliere questa continua tensione tra elementi opposti: i personaggi, ad esempio, si contrappongono sempre l’uno all’altro (la perfetta ex moglie e l’attuale, folle compagna; la produttrice cinematografica determinata e concreta e il sentimentale regista amico di Luca) e la narrazione si serve di due punti di vista diversi, anche questi in contrasto: quello di Luca, uomo razionale e arido, a Milano, e quello di sua madre, spirituale e generosa nei sentimenti, al sud.

Questa tensione, questo continuo contrasto di forze fa muovere ed evolvere, quindi, la storia di Luca. Rubini utilizza la stessa ricetta che consiglia al suo personaggio principale: compone il film con pennellate dai colori forti e contrastanti, per riuscire a creare, paradossalmente, grande coesione. In particolar modo, “impressionante” (è proprio il termine adatto) è l’immediatezza con cui il regista traccia le linee principali delle psicologie dei suoi personaggi descrivendoli, tuttavia, senza superficialità.

La malattia che fa bene (di Luca Bocedi)

«Con questo film abbiamo voluto provare a disattivare l’attore, inteso come persona che vive perennemente sotto i riflettori, e costringerlo a una sosta» afferma il regista Sergio Rubini, che inchioda il protagonista del film Luca Florio al letto di una clinica di lusso e lo invita a osservare che cosa succede davanti ai suoi occhi. È proprio questo il cuore del film di Rubini: uno sguardo nuovo su tutte le figure che ruotano attorno alla vita del protagonista, attraverso l’affetto di chi ne ha fatto parte, come la ex-moglie Margherita Buy, il silenzio di chi si allontana, come i colleghi di lavoro, la debolezza della giovane amante Giovanna Mezzogiorno, e la grande umanità di chi ritorna, come il padre (un grande Alberto Rubini) e l’amico di infanzia Giacomo.

L’amore ritorna è un film intenso, che deve il proprio successo alla sceneggiatura, scritta a quattro mani da Domenico Starnone e Sergio Rubini, e a un cast perfetto, capace di scavare in profondità dei singoli personaggi e di esprimerne le paure, le passioni, gli affetti, i limiti. Rubini dirige con maestria questo walzer di personaggi e, un poco alla volta, costringe loro a calare le maschere, a svelarsi, a mostrarsi per quello che veramente sono, mettendone a nudo l’ipocrisia, le bugie, le falsità e i pregiudizi: il protagonista, un perfetto Fabrizio Bentivoglio («per la parte di Luca ho pensato subito a Fabrizio, non riuscivo a immaginare nessun altro in quel ruolo» sottolinea Rubini), si trova allora a poter smontare tutti i pezzi della propria vita e rimontarli secondo un nuovo criterio, più umano e sincero, che allontana l’opportunismo e si apre agli affetti e alla memoria. Emblematico in questo senso è il caso di Giacomo, presentato sin dall’inizio come la figura tipica dello scocciatore, ma che mostra tutta la propria sensibilità con la decisione di rimanere a fianco di Luca e di occuparsi della sua malattia, fino ad arrivare a indicargli la via della guarigione.

Il film affronta in modo molto particolare anche il tema della morte: la visione della morte (la propria, nel caso di Luca, che, nudo, osserva se stesso disteso sul letto di un obitorio; quella di una persona cara, nel caso della madre di Luca, che rivive il dramma della scomparsa della giovane cugina) porta con sé le angosce e le paure che accompagnano la fine dell’esistenza, ma può (e soprattutto deve, ci suggerisce il film) essere intesa come un incoraggiamento a ripartire, a ricominciare da capo dopo che davvero si è rischiato di toccare il fondo.

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