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Le donne del Canyon

Le donne del Canyon

Un film che promette molto, ma che mantiene troppo poco sul pur stimolante tema cardine dello scontro generazionale tra Jane (Frances McDormand); una madre trasgressiva, produttrice musicale dedita al triangolo “sex, rock’n’drug”, e Sam (Christian Bale); il figlio psichiatra, maledettamente perbenista che assieme alla fidanzata Alex (la sexyssima Kate Beckinsale) va ad alloggiare in casa della madre sulle colline di Laurel Canyon, una zona periferica di Los Angeles. Colpa di una sceneggiatura con poche idee, in cui Lisa Cholodenko si accontenta di solcare solo l’epidermide di un confronto tanto acceso che avrebbe meritato degli affondi psicologici di ben altro rilievo. Così la pellicola ha ben pochi acuti: belle le musiche e ottimi gli attori. Tra cui spiccano la convincente Frances McDormand e Alessandro Nivola, estremamente magnetico nell’interpretare Ian, il giovane amante di Jane che da musicista libertario e senza scrupoli di coscienza finirà per sciogliere le inibizioni di Alex. Senza dimenticare la sensuale interpretazione di Natascha McElhone, che nei panni di Sara cercherà di scardinare le difese psicologiche e le imponenti armature borghesi di Sam.

Ma la bravura dei singoli attori non allevia un’altra imperdonabile pecca del film. Quella di non aver approfondito il significato del tessuto sociale di Laurel Canyon. Una collina in qualche modo paragonabile al Greenwich Village di New York (quello della Beat generation di Gregory Corso, Jack Kerouack e Allen Ginsberg che tanto influenzarono la filosofia e le ballate di Bob Dylan); dove una folta schiera di creativi e di musicisti “alternativi”, come la poeta, pittrice e cantante Joni Mitchell, diedero forti impulsi innovativi alla cultura musicale degli anni 70. A fronte di tutto ciò, nel film della Cholodenko non vi è traccia di questo forte background musicale. Eppure la stessa regista ha ammesso di essersi ispirata proprio a Joni Mitchell per disegnare il personaggio di Jane, di aver ascoltato per intero il suo album Ladies of the Canyon per trarne le sensazioni, gli umori e il senso di un microcosmo in continua evoluzione. Di questo troviamo traccia nelle note di regia del film, ma nemmeno in un’immagine del film stesso! Un’occasione palesemente mancata, dunque. Dove un’importante pagina musicale del recente passato viene ridotta al minimalismo di piccole scelte, di telegrafici e frammentati dialoghi che nulla aggiungono alle tematiche del rapporto tra Musica e Società che invece hanno influenzato e guidato lo stile di vita di intere generazioni per almeno un paio di decenni. Come parlare dei Beatles – come di recente hanno fatto molti giornali – evidenziando di Abbey Road solo che in un angolo della copertina dell’album appare un tale oggi identificato col nome di Paul Cole, 92enne e residente in Florida (sic!). Una notizia che certo accresce di molto la nostra cultura musicale… come il film di Lisa Cholodenko.

Da ultimo, se può essere di conforto, un 30 e lode va dato all’accuratissima scenografia curata da Catherine Hardwicke, che Hideout accoglie tra le sue recensioni per la regia di Thirteen (id., 2003).

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