L’impossibilità di una rivincita
Nell’epoca dei grandi sequel e delle trilogie ricche di effetti speciali ed eroi salvatori del mondo, Pupi Avati e la sua “Nazionale” di attori lanciano il seguito di un film uscito diciassette anni fa intitolato Regalo di Natale, stessa regia, stesso cast di protagonisti.
Ciò che ha spinto attori e regista ad intraprendere l’opera è stata l’idea di decidere il destino definitivo dei giocatori dopo quella feroce partita a poker del Natale 1986. Questo dà l’occasione ad attori e spettatori di vedere i personaggi cambiati fisicamente, ma non nel carattere e nelle attese, riconoscendosi magari nei loro volti e confrontandosi con il proprio passato, su come il tempo è trascorso su di sé da allora. Questo può essere tuttavia il punto debole del film per chi non ha mai visto il precedente e non ha mai condiviso il mondo dei protagonisti. D’altra parte non sembrano esserci elementi a sufficienza per avvincere alle vicende di Franco, in cerca di una rivincita per il torto subito. Certo, notevole è l’impegno a creare suspence, tensione psicologica, attimi di drammaticità nelle scelte, soprattutto nel gioco (anche con un buon uso della mdp libera di ruotare a 360° sul tavolo verde ad inquadrare i giocatori) ma le scene che restano più impresse nella mente sono proprio i flashback della prima partita/film, con i grandi volti madidi, tesi ed espressivi, gli sguardi cinici o angosciati ad occupare l’intero schermo.
Diversamente in questa Rivincita di Natale si cerca piuttosto di spingere lo spettatore dentro i giochi di alleanze, finzioni, trucchi e nel piccolo giallo finale, ma non si giunge mai a un vero climax di tensione, sempre smorzata dalla presenza di personaggi come Ugo (Cavina) e Lele (Haber): uomini di mezza tacca, falliti che scadono nella viltà pur di afferrare un’occasione al di là della loro portata. Quindi il film non assume mai toni troppo seri, ma nemmeno leggeri, non ci sono né macchiette né eroi. Questo potrebbe essere un punto a favore del film, se non fosse che questi personaggi sono così ambigui e indecifrabili da non potercisi “affezionare” e parteggiare per uno di loro. Neppure gli altri sono in grado di assumere il ruolo di eroe positivo: non Stefano (Eastman); troppo defilato; né l’avv. Santelia (Delle Piane); inaffidabile ragioniere dell’azzardo, baro professionista; nemmeno Franco, comprensibilmente in cerca di una rivincita ma pronto a sua volta all’inganno.
Ciò che conta per questi uomini è solo il desiderio di rivalsa e per vincere sono disposti a fare di tutto, dalla messinscena al doppio gioco, anche l’amicizia può perdere il suo valore, essere tradita. Così nel mondo dove tutto è finzione, falsità, non esiste più niente di sacro: anche la notte di Natale è “profanata” e così tutti i simboli religiosi vengono usati come paravento per l’ennesimo inganno, svuotati del loro senso. Non c’è nessun un margine di salvezza umana per questi uomini, incapaci di cambiare e resi soltanto più rancorosi dai loro fallimenti.
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