Il sogno americano
Macchina da Oscar
di Giacomo Freri ****
Ci sono alcuni film che sembrano furbamente confezionati apposta per gli Oscar, e La casa di sabbia e nebbia appartiene a pieno titolo a questa categoria. Attori di alto livello con magari una statuetta già nella bacheca personale: in questo caso Ben Kinglsey, vincitore di un Oscar come miglior attore protagonista con Gandhi (id.,Gb, 1992, 187’); e Jennifer Connely, premiata per A beautiful Mind (id., Usa, 2001); temi sociali e di attualità, ovvero la precarietà del sistema sociale americano e l’integrazione-scontro tra culture differenti; uno stile visivo “politically correct”, cioè classico ma con qualche virata estetizzante (non a caso il regista proviene dalla pubblicità).
Ed ecco che tre nomination sono arrivate puntuali, tra cui quella come miglior attore a Kinglsey (troppo accademico, quasi tronfio).
L’idea di fondo del film era anche interessante: la casa, ovvero un pezzo di terreno, come emblema della propria esistenza sul suolo, come necessario spazio vitale per affondare le proprie radici. E la conseguente lotta viscerale per conservare o acquisire questo spazio vitale tra due figure umane diversissime, espressioni di due società agli antipodi.
Perelman, nato a Kiev ma formatosi in Canada, da parte sua ce la mette tutta per scostarsi dai cliché: mescola le carte e rende meno netto il conflitto tra il bene e il male, senza dipingerci il classico militare fascista e spietato contro l’eroina solitaria.
Poi però, e qui arriva la parte debole del film, si dilunga su tramonti, cieli annuvolati, tira troppo per le lunghe un finale improbabile e si affida ad una sceneggiatura con più di un buco (uno su tutti: non si è mai visto un ex-ufficiale che finisce ad asfaltare le strade…).
Il regista sembra voler dimostrare al pubblico (e ai giurati dell’Academy) quanto è abile e quanto è toccante il suo film, inserendo bezzi di bravura cinematografica e di drammaticità, perdendo però di vista la compattezza e la coerenza della sua opera.
La sensazione quindi è che il film sia poco sincero, c’è il sospetto che sia stato tutto organizzato a tavolino. E per un film che si pone come impegnato, alternativo allo star-system hollywoodiano, l’effetto stride ancora di più.
Il sogno americano
di Fabio Falzone *******
Iran, lungo la spiaggia del Mar Caspio una famiglia gioca, lasciando sulla sabbia tracce di memoria che la risacca cancella. USA, nella baia di S. Francisco il Golden Gate è immerso nella nebbia, a indicare una direzione senza un chiaro punto d’arrivo. Sabbia e nebbia, elementi che una natura dimentica dell’uomo abbandona al loro imprevedibile corso, all’entropia della loro struttura assente. Nel film di Vadim Perelman sassi e cemento spariscono dall’architettura contemporanea per lasciare il posto a sabbia e nebbia, fatali componenti delle nuove abitazioni, alte centinaia di piani, dotate di sistemi antisismici sofisticati eppure mai così vulnerabili.
La casa, base delle nostre azioni, contenitore di memoria e vissuto famigliare, è posta dal regista sul filo che unisce la precarietà di queste percezioni, simboleggiate dalla sabbia, e il pericolo che qualcosa di misterioso s’insinui dentro il focolare domestico, immagine incarnata dalla nebbia. Un filo che si chiama speranza e che la lama dell’abbandono, maledizione che segna tutti i personaggi, fa sempre più sottile.
Sequenze di nebbia che s’insinua dal cielo verso la terra e viceversa spezzano il susseguirsi delle scene, a simboleggiare movimenti superiori che l’uomo non può controllare. Lungo la direttrice terra-cielo due culture si scontrano per uno scherzo del destino. Da una parte Kathy (Jennifer Connelly); americana, figlia della società del consumo, fortemente legata alla casa donata dal padre scomparso, che tenta fino all’ultimo di conservare, assieme al suo passato, il sogno di nuova famiglia. Dall’altra parte la disfatta di Behrani (Ben Kingsley); cacciato dall’Iran, che affacciato dal terrazzo scruta il cielo verso un Dio e valori assoluti che lo hanno ormai abbandonato.
Mentre il dramma si consuma, la nebbia scompare forse scivolando in cielo con le anime delle vittime. L’immagine del ponte ricompare, ma questa volta è un pontile scalcinato e Kathy può vedere dove finisce. La strada s’interrompe sul mare: è impossibile andare oltre perché i valori nei quali credevano sono stati spazzati via con la nebbia, risucchiati dal cielo e la terra che li hanno prodotti. Nel mezzo di questa tormenta materialistica e pessimistica, il passaggio obbligatorio è la casa, luogo violabile dall’esterno e dall’interno, mito impossibile nella visione catastrofica del regista che vede diverse culture e sistemi di valore sull’orlo dell’abisso.
A cura di Fabio Falzone
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