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cultura dell'immagine e della parola

La donna è immobile

La donna è immobile

Rosenstrasse, a differenza di altri film sull’Olocausto, non lascerà un’immagine impressa nella memoria collettiva. Non c’è nessuna immagine prorompente come la bambina dal cappotto rosso di Schindler’s list; non riscuoterà le coscienze come fu per i giovani cinefili del dopoguerra che videro Notte e nebbia di Alain Resnais; non ha nemmeno la levità e la poesia che hanno consacrato La vita è bella e Train de vie. Al contrario la struttura narrativa, la scelta di collocare la storia principale all’interno di un’ulteriore cornice disperdono la forza degli avvenimenti, diluiscono l’incisività di una vicenda drammatica e certamente capace di suscitare attenzione (seppur lungo, il film non risulta poi noioso) in un eccesso di personaggi, motivazioni, intrecci secondari. Rosenstrasse non riesce a far emergere l’urgenza di raccontare; manca da una parte l’essenzialità di una storia che non può lasciar spazio ad altre vicende secondarie, e dall’altra un apporto personale, creativo, che non riduca il film a semplice esposizione dei fatti.
Il filo rosso che tiene unite le tre storie –Hannah, Ruth, Lena- è la donna, caparbia, tenace, sola. Gli uomini sono assenti o impotenti di agire: il marito di Ruth è appena morto, Fabian è rinchiuso e sarà liberato grazie alla moglie, Luis compare poche volte e solo in relazione a Hannah. Il papà di Ruth, addirittura, ha temuto di compromettersi mantenendo il matrimonio con una donna ebrea, ed ha deciso di divorziare. Di fronte all’assenza e alla paura maschile, le donne rispondono con la muraglia compatta dei loro corpi in Rosenstrasse, aspettando soltanto di poter vedere per un attimo i mariti alla finestra, munite della forza di una semplice eppur inattaccabile frase: “Rivoglio mio marito”. La costanza femminile si concretizza nella massa corporea delle donne ferme ad aspettare, giorno e notte, con lo sguardo alzato verso le finestre, sostenute dalla consapevolezza di essere invincibili. È la stessa costanza che troviamo, oggi, in quelle madri argentine che ogni giovedì manifestano in Plaza de Mayo per chiedere dove sono i loro figli.

Curiosità: Margarethe Von Trotta ha lavorato per più dieci anni a questo progetto, partendo da alcuni documentari di Daniela Schmidt (sempre a proposito della costanza femminile…)

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