Le donne schiave del regime talebano
Un potente film di denuncia sulle orribili vessazioni perpetrate dai talebani su tutta la popolazione femminile dell’Afghanistan, prima che le Nazioni Unite legittimassero l’attuale governo di transizione presieduto da Hamid Karzai. Un monito sui tremendi guasti sociali, economici e di libera circolazione delle idee prodotti da una qualsiasi teocrazia che intenda ergersi come unico giudice e giustiziere su tutte le forme di espressione individuale, in specie se a rivendicarle sono le donne. Infatti, sotto il regime talebano le donne non potevano uscire di casa se non accompagnate da un uomo della cerchia parentale. Non avevano il permesso di lavorare o di ricevere una qualsiasi istruzione scolastica. Potevano esporsi in pubblico solo indossando la burqa, nascondendo il viso ed il resto del corpo sotto quella sorta di tunica integrale che ne celava la figura dalla testa ai piedi. Non potevano ridere, né parlare ad alta voce. Non potevano truccarsi e non potevano nemmeno far rumore di passi mentre camminavano. Se trasgredivano ad una qualsiasi di queste imposizioni potevano essere frustate. Un vero e proprio regime del terrore che il regista Siddiq Barmak, attraverso il suo primo lungometraggio, racconta così: «Osama è la storia di coloro che hanno perso la loro identità. Racconta il terrore, in un momento in cui la gente aveva paura della sua stessa ombra. Racconta la storia continua e senza fine delle donne in prigione. Ed è la storia di una ragazzina e del fardello di ingiustizie e assurdità religiose che è costretta a portare sulle spalle».
Ma al di là della vicenda narrata, che dovrebbe far inorridire qualsiasi coscienza democratica, anche sul piano puramente registico il film di Barmak (ora in uscita in Italia, ma già presentato al 56° Festival di Cannes nella Quinzaine des Realisateurs) fornisce un notevole spunto di riflessione. A partire dalla scelta di attori non professionisti. In Italia avvenne lo stesso dopo i disastri lasciati dal dopoguerra. I neorealisti per eccellenza, Roberto Rossellini e Vittorio De Sica, ne fecero largo uso in molti loro film. Per cui viene da pensare che l’esigenza della verità, del “pedinare la realtà”, come soleva dire quel geniaccio stralunato di Cesare Zavattini, si presenti come ricorso storico costante a prescindere dal periodo in cui scaturisce, purché esso abbia come denominatore comune la liberazione da una dittatura, o comunque da una schiavitù intollerabile. Dunque, se questo è vero, Libertà fa sempre rima baciata con Verità. Chissà se quelli che oggi giocano ai soldatini con i partiti di plastica lo capiranno mai? Persi nel loro ego, pervaso da un’ossessiva e immensa frustrazione, forse non ci arriveranno. Ma non importa, perché saremo noi, gente comune, con onestà, rigore e lucidità, a ricordarglielo. Perché il tempo è davvero galantuomo.
* Osvaldo Contenti è autore assieme a Renzo Rossellini del volume “Chat room Roberto Rossellini”, Luca Sossella editore, pagine 160, euro 15 > Web site Osvaldo Contenti Digital Art
Approfondimento sulle donne d’Afghanistan
A cura di Osvaldo Contenti
in sala ::