Il Signore dei Film
Il Signore dei Film
di Lorenzo Lipparini ********
Poco separa le grandi e famose opere Epiche dall’epopea del Signore degli Anelli. La guerra in questo caso non si scatena per causa di una donna ma per la salvezza dell’umanità aggredita dalle forze del male. Non ci si contende la Terra Santa né il Pomo della discordia ma un Anello del Potere. La speranza di capire qualcosa dell’ultimo, appena uscito, Signore degli Anelli è nulla per chi non abbia già visto i primi due episodi o per chi non conosca l’omonimo libro.
J.R.R. Tolkien scrisse la storia del Signore degli Anelli cinquanta anni fa. Peter Jackson ne ha realizzato una trilogia nel 2000, dopo aver inutilmente tentato di coinvolgere le grandi case americane. Il risultato è un faraonico lavoro d’equipe che ha coinvolto per mesi una quantità impressionante di comparse (più di 26 mila); attori e tecnici nelle stupende location della Nuova Zelanda, patria del regista. L’operazione intera è stata dominata da attente regole di marketing e così il film è stato diviso in tre episodi, usciti a distanza di un anno ed intervallati con i cofanetti DVD contenenti versioni estese del girato e diverse ore di contenuti speciali. Oltre alle riedizioni dei libri di Tolkien arriva ora, assieme all’atteso episodio conclusivo, anche una gran quantità di gadget che scaldano i fans. Tutti i numeri sono da record, dalle 2400 persone impegnate nella produzione durata sei anni, di cui solo 276 giorni impegnati per le riprese, fino ad arrivare al numero di sale in cui sarà presente il film: in Italia sono circa 1000.
Il ritorno del Re è il più riuscito e coinvolgente della trilogia anche grazie a qualche sapiente accorgimento adottato in fase di trasposizione dal libro. Potenziate le figure femminili e le storie d’amore, rimandati per l’occasione alcuni passaggi importanti come la riforgiatura della spada del Re. I tolkeniani possono stare tranquilli. L’ultimo film è il più fedele al testo, cui porge una mirabile e costante attenzione.
Si è giunti allo scontro finale, quello decisivo. 200.000 orchi marciano su quella che fu la capitale del regno di Gondor, la maestosa città dei re degli uomini fortificata su sette livelli. Le grandi scene di battaglia sono curate fin nei minimi dettagli. I cavalli utilizzati, moltiplicati poi dal computer, sono stati radunati da tutta la Nuova Zelanda. I suoni sono stati registrati in uno stadio gremito di collaborativi tifosi. La grandiosa città è stata costruita e smantellata nel giro di sei mesi in una suggestiva conca naturale, lavorando poi su enormi e dettagliatissimi modellini. La guerra sarà dolorosa, piena di perdite, ma ognuno avrà il proprio ruolo, la propria sfida da superare. I re, che dovranno assumere la responsabilità di guidare il proprio popolo in armi in una grande coalizione contro il Male, ma anche i più piccoli hobbit, i mezziuomini della Contea. Frodo è da solo, in territorio nemico, eppure da lui dipende la vittoria finale. Dipende dalla sorte dell’anello che porta, che lo logora come un pesante fardello. Sono l’amicizia, l’amore, l’istinto di difesa della propria patria, del proprio onore e dei propri valori che spingono tutti a comportamenti impensati e valorosi. Tutti lotteranno per la sopravvivenza, restandone profondamente segnati, cambiati. Ognuno pagherà un pegno, darà il suo contributo per la vittoria finale, perché gli uomini ritrovino una guida, un re e la dimenticata pace. Aprendo una nuova Era.
Tre ore e venti come queste passano in fretta e, nonostante le lungaggini spesso malinconiche necessarie a chiudere tutte le parentesi aperte in 10 ore di film, resta la voglia di rigettarsi immediatamente nella storia. Dopotutto il mondo di Tolkien vive da decenni nelle attività degli appassionati. Questo impressionante film non potrà che aggiungere un importante tassello al mito, e, questo è sicuro, si è già guadagnato un posto nella storia.
Fedele alla linea
di Fabio Falzone *******
Tolkien affermava che lo scopo della sua opera era quello di divertire (nel senso alto del termine); di essere leggibile e coinvolgere. Malgrado il periodo di gestazione de Il Signore degli anelli attraversasse gli anni della seconda guerra mondiale, dove bene e male erano nettamente visibili come nella sua storia, Tolkien respinse sempre la chiave di lettura allegorica, politica o morale avanzata dai critici.
Premesso ciò, è indubbio che Peter Jackson non abbia tradito le intenzioni dello scrittore – se non con qualche taglio inevitabile – , traducendo quasi alla lettera il romanzo sul grande schermo. Non si scorge infatti alcun lavoro interpretativo dell’opera letteraria se non un operazione grandiosa di trasposizione visiva, di messinscena e attenzione al design di scenari, battaglie pirotecniche e bestiari tolkeniani. Come se dal libro fosse spuntato d’un tratto l’occhio di un fedele cinematografo.
Forse un vero amante dell’epopea, fuori dalla sala, ha sentito il suo immaginario violato. Questa versione cinematografica, con l’indubbio merito di aver donato al romanzo il potere dell’immagine, impossibile fino a pochi anni fa, riassume, semplifica e si sovrappone all’insostituibile lavoro di astrazione personale scaturito dalla lettura. Risultato prevedibile.
Jackson ha lasciato l’opera nella finzione, non ha osato spingere il suo cinema più vicino ai confini della realtà di oggi, in molti aspetti paragonabile a quello che vivono i personaggi del film. Non ci sono fornite chiavi di lettura capaci di creare significato aggiuntivo. Il regista mantiene l’universo della Terra di Mezzo un mondo perfettamente chiuso in se stesso, nella sua malinconia, nella sua precisa Weltanschaung ecologista di condanna al potere totalitario (Sauron) e alla technè (Saruman). Ironia della sorte, la condanna è sorretta proprio dalla tecnologia stessa, gli effetti speciali.
Resta sulla pelle il brivido della meraviglia, i sussulti, i pianti e gli applausi continui degli spettatori in sala. Nasce uno spettacolo molto vicino all’idea di cinema come luogo comune e a quello di Georges Méliès, del viaggio immaginario. Soprattutto, rimane intatto il desiderio di Tolkien, di coinvolgere emotivamente il lettore e la sua innata capacità di appassionarsi per le grandi narrazioni, l’epica, la mitologia, le sue emozioni e perchè no, le sue possibili letture.
A cura di Lorenzo Lipparini
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