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cultura dell'immagine e della parola

Dal confessionale al Confessionale


L’occhio della telecamera che presidia uno spazio limitato, alla ricerca dell’imprevisto e del “fuori copione”, cercando di estendere il proprio campo visivo oltre i suoi confini materiali.
Questo modello di visione, generalmente considerato una figliazione diretta della web-cam, in realtà è una forma di estremizzazione di alcune componenti presenti nel linguaggio televisivo fin dai suoi albori. La televisione, infatti, trova proprio nell’avvicinamento e nella sfida ai proprio limiti i suoi momenti di maggiore intensità espressiva: basti pensare alle dirette degli eventi sportivi, o ai filmati rubati dalle telecamere dei videoamatori in condizioni estreme e di emergenza.
Il Grande Fratello ha ricostruito in vitro questo tipo di visione nella casa di Cinecittà, “ripulendolo” in un certo senso dei suoi difetti congeniti (principalmente la scarsa qualità del girato e la difficoltà di trovarsi nel posto giusto al momento giusto) e divenendo allo stesso tempo prodotto televisivo per il grande pubblico e rappresentazione meta-televisiva a disposizione di sociologi e semiologi.
Adesso come adesso, ad una settimana dall’inizio della quarta edizione, sembrerebbe onestamente che il prodotto televisivo sia un po’ in ribasso: per quanto premiate dagli ascolti, le ultime due edizioni hanno regalato davvero pochi momenti memorabili, e lo spauracchio della noia è sempre in agguato. Quello che invece resiste è la funzione “simbolica” del Grande Fratello, questo suo essere diventato il feticcio della tv contemporanea, la sua capacità di creare polemiche, discussioni e addirittura scontri valoriali.
Quest’anno la pietra dello scandalo ha la faccia paciosa del prete partenopeo don Enzo Passante. Il primo sacerdote a presentarsi ad un provino del GF ha involontariamente scatenanto uno scontro titanico che ha visto la Chiesa mandare all’attacco due dei suoi migliori esperti mediatici: don Mazzi e il card. Tonini, che hanno dichiarato che una partecipazione ecclesiastica al programma sarebbe stata una “sfida inaccettabile” in quanto il GF rappresenta “un programma perso in tutti i sensi”; mentre dall’altra parte Mediaset ha risposto con una rinuncia a malincuore a don Enzo, condita con una frecciata del presidente Confalonieri: “Consiglio al card. Tonini di vedersi anche altri programmi: non accetto attacchi pesanti solo al Grande Fratello”.
Una diatriba tra due istituzioni di questo peso non può che turbare il telespettatore medio, sopratutto in un periodo in cui sembra che le conduttrici facciano a gara a chi riesce ad appendersi al collo un crocefisso il più vicino possibile alla dimensione originale. Fortunatamente ad Hideout non mancano i buoni contatti, perfino in ambiente ecclesiastico. Questo mi ha permesso di esporre i miei dubbi a don Paul Renner, teologo, raggiunto grazie ai nostri potenti mezzi nel suo domicilio di Bressanone:

Don Renner, la faccenda mi sembra spinosa: secondo lei la Chiesa ha qualche problema nel rapportarsi col linguaggio televisivo?

In fondo si tratta di un elettrodomestico molto giovane: ha appena 50 anni, contro l’età della Chiesa che è quaranta volte maggiore… scherzi a parte, ritengo che finora la Chiesa Cattolica non abbia valorizzato a sufficienza il mezzo televisivo come occasione di dialogo con le masse. Esistono alcuni programmi di nicchia ma per il resto la partecipazione dei cristiani viene lasciata all’improvvisazione: e questo è un grave deficit.
La visibilità della Chiesa nei programmi TV è dunque lasciata all’arbitrio dei conduttori o alla abitudine che il pubblico ha ormai fatto a certi volti: l’hobbit don Mazzi, l’arcigno mons. Balducci, il segaligno card. Tonini, il tetro padre Amorth e così via. Tutte persone che, ad esempio, non hanno un’alta qualificazione teologica. A volte tuttavia si esprimono dei teologi non abituati al mezzo televisivo e allora la frittata è ancora peggiore: mi viene in mente ad esempio un infelice intervento di Mons. Rino Fisichella in occasione del Gay Pride a Roma nel 2000.

Allora il problema è proprio il Grande Fratello? Il card. Tonini l’ha definito: “ Perdita di libertà da parte di chi ci partecipa, consapevole e voluta. Il massimo dell’abuso della televisione sulle coscienze degli uomini”. Ma tra le libertà dell’uomo non c’è quella di apparire in un reality show?

L’espressione stessa “Grande Fratello” ha una connotazione cupa ed inquietante: un fratello troppo grande risulta invadente, non ci lascia una sfera di libertà, non conosce discrezione o pudore. Il GF televisivo è degno delle più serrate critiche, perché carnevalizza la vita privata delle persone, le estroverte al punto da non lasciare spazio all’intimità, al segreto, al rispetto. Chi partecipa, sa di entrare in una collettività falsata, dove si deve estremizzare e fare spettacolo: è una forma di prostituzione della propria verità. Le persone che si agitano – o che vivacchiano – all’interno dell’”acquario” del GF attestano un’idea falsa e pericolosa di libertà. Questa non dovrebbe significare “poter fare quel che si vuole” ma piuttosto “poter volere pienamente quello che si fa”: e non mi sembra questo il tenore che anima i partecipanti di questo show.

Però è un programma che ha un seguito notevole in termini di audience. Criticandolo si finisce per criticare anche i milioni di persone che lo guardano. O no?

Che una trasmissione abbia successo non vuol dire che sia buona e costruttiva. Il GF risulta corrosivo, perché rientra in quei divertimenti stupidi” con cui De Tocqueville nel suo “Trattato sulla democrazia in America” ipotizzava che i governi futuri avrebbero imbonito e reso inoffensive le masse. La banalità uccide senz’altro più della morale cristiana.

Qui mi lancio in un azzardo abbastanza notevole, lei è libero di dirmi che sono un mentecatto. Non è possibile che esista un meccanismo comune a più dottrine che si occupano dello spirito che spinga a vedere un potenziale pericolo nella riproduzione delle immagini? A me, per motivi diversi, vengono in mente sia il fenomeno dell’iconoclastia che il rifiuto della fotografia da parte di molte culture animiste che la accusano di “rubare l’anima”. Sono un pazzo?
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La Chiesa non rivela atteggiamenti iconoclasti nei confronti del mezzo televisivo e nemmeno del GF: il problema non sta nel proibire le immagini ma nel saper valutare sia ciò che le immagini esprimono, sia ciò che esse provocano. Il vuoto che spesso traspare dagli annoiati protagonisti dello show, umilia la fatica di vivere di tante famiglie normali. I disvalori che essi snocciolano con leggerezza, ampliati dal potere evocativo delle immagini, incidono più di quanto si pensi sul vocabolario, sull’immaginario, sulle ritualità dei giovani. Il GF ha un solo aspetto positivo: ci dà un’immagine impietosa e veritiera di quanto la nostra società dei consumi sia marcia e di quanto sia in crisi la nostra identità di uomini del terzo millennio.
Il Grande Fratello non riesce a rubare l’anima di nessuno; lascia però intendere che si può vivere senza valori, senza principi, senza mete di rilievo… cioè senz’anima. La fratellanza vera, è tutt’altra cosa, perché sa chinarsi non solo su corpi esteticamente appetibili, ma anche su quelli più piagati e provati. Lì sì esistono dei piccoli e grandi fratelli.
Poi una trasmissione può essere scintillante finché si vuole, ma un cadavere – anche se vestito di lustrini – resta pur sempre un cadavere. E gli olfatti più fini si accorgono che puzza, ancor prima che si sia del tutto decomposto.

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