Esercizi di connessione
Siamo ormai abituati a vedere portare sullo schermo storie in maniera non lineare, anzi, in un certo senso, anti-lineare, come se il cinema si volesse concentrare sempre più sul mezzo in quanto tale, sperimentando. Questo film è un ottimo esempio di come una storia “convenzionale” possa essere sviluppata efficacemente in maniera non convenzionale. Il tutto dopo gli esperimenti di Tarantino e del suo Pulp Fiction, che ci ha costretto ad uno sforzo mentale particolarmente arduo per ricucire frammenti, apparentemente addirittura contraddittori, facendo venire alla luce una tecnica perfettamente pensata. Tecnica in cui assolutamente niente viene dato al caso e che si può scegliere di recepire anche così com’è, con il rischio che rimanga il dubbio “di non aver capito qualcosa”.
Nel caso di 21 grammi siamo di fronte ad un puzzle in cui i pezzi, alla fine, si incastrano l’uno dentro l’altro perfettamente, anche se ne risulta un puzzle incompleto, dai contorni sfumati. La vicenda appare solo una scusa per mettere lo spettatore nelle condizioni di riflettere sulla morte (e i riferimenti sono vasti: dall’aborto ai trapianti); sulla vita, sul senso di colpa, sulla disperazione. La struttura non lineare è un buon espediente per far venire alla luce le cose in modo efficace e per creare tensione nello spettatore. Una tensione che, tuttavia, va affievolendosi man mano che i pezzi s’incastrano. Una nota di merito va agli attori, tutti perfetti nelle loro parti, e alla colonna sonora, che segue emotivamente la vicenda senza mai intralciarla, alla fotografia sgranata che costruisce un’atmosfera concreta e che contribuisce a sfumare i contorni dei pezzi del puzzle.
Curiosità: Stephen Mirrione ha già ricevuto un oscar per Traffic. Naomi Watts sarà ricordata certamente da tutti per l’ottima interpretazione di Camille in Mulholland drive
A cura di Claudia Triolo
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