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Settimo Cielo


Potrebbe essere la più classica tragedia elisabettiana; gli elementi ci sono tutti: l’amore e la morte, il conflitto e la passione, l’ineluttabile incedere del fato al quale l’eroe, per la sua umana imperfezione, non può opporsi. Ma, a sorpresa, alla fine di ogni puntata i Valori (con la V più che maiuscola) trionfano e il reverendo Camden con i suoi famigliari – la moglie devota Annie, la piccola Ruthie, le inquiete sorelle Lucy e Mary, il tormentato Matt e il quadratissimo Simon – possono tornare a riunirsi al tavolo della cucina per rinnovare il proprio idillio domestico.
Settimo Cielo è in un certo senso l’emblema del potere commerciale della fiction statunitense: la vastità e l’eterogeneità del pubblico nordamericano consentono ai produttori di realizzare telefilm potenzialmente fruibili ad ogni latitudine e di rivenderli ad un prezzo molto basso rispetto al successo in termini di pubblico che garantiscono. Eppure si tratta di un prodotto che richiede di essere maneggiato con una cura maggiore rispetto ad altri format già passati sulle reti italiane.
A fungere da tema conduttore e da collante della serie non ci sono infatti elementi etnici come nei Robinson o in Otto sotto un tetto, dove la messa in scena delle avventure di famiglie afroamericane che agivano secondo standard molto vicini allo stile di vita europeo risultava quantomeno rassicurante per un pubblico italiano ancora poco abituato al melting-pot. E non ci sono nemmeno elementi fantastici, e quindi poco discutibili, come nei classici Il mio amico Ultraman e Super Vicky.
Qui a farla da protagonisti sono i succitati Valori, e non si parla di un codice etico generale, bensì, essendo il protagonista un reverendo protestante, il riferimento più chiaro (sebbene non ci si accosti mai in modo diretto al pensiero teologico) è quello che ci rimanda alla morale cristiana.
Una morale che a tratti si esplicita in modo quasi biblico, da Antico Testamento, attraverso processi di amplificazione che rimandano al modus operandi della divinità vendicatrice. Nell’universo di Settimo Cielo ogni peccato comporta un contrappasso iperbolico: il sesso prematrimoniale conduce alla gravidanza, il consumo di uno spinello alla dipendenza da droghe, un’uscita di nascosto dai genitori si risolve tranquillamente in un incidente stradale che costa la vita alle amiche della adolescente disobbediente.
Non sembra quindi casuale la scelta dei curatori del palinsesto di Italia1 di trasmettere Settimo Cielo, che tra l’altro è un prodotto di ottima qualità televisiva, proprio in queste settimane. L’idea di fondo è chiaramente quella di proporre un programma che tematizza l’appartenenza ad un codice di comportamento di matrice religiosa in un momento storico in cui l’identità religiosa stessa ritrova vigore e si impone come uno degli argomenti più trattati dal sistema mediale.
In fondo non è altro che un’operazione da manuale di marketing: si sintonizza l’offerta su un segmento di mercato che appare particolarmente ricettivo.
Con in più il vantaggio che Adel Smith non potrà rivolgersi ai giudici per far spegnere i televisori nel primo pomeriggio.

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