La formula del divertimento
Negli anni 50 la tecnica 3D affollava le sale dove venivano proiettati i film tridimensionali, e di recente, grazie ai passi avanti compiuti in fatto di telecamere ed effetti speciali computerizzati si stanno riscoprendo le potenzialità offerte da questa tecnologia.
Girare in 3D ha permesso a Rodriguez di immaginare un mondo intero, pieno di colore e profondità e di cambiare approccio rispetto all’immagine in 2D: è stato necessario, infatti, ripensare al modo di utilizzo della telecamera, della luce, della scenografia e persino ripensare il modo in cui gli attori si muovono e parlano. In effetti il lavoro degli attori è stato a dir poco anomalo, dato che dovevano recitare di fronte ad uno schermo verde, senza muri, senza set e senza nemmeno materiale di scena che potesse aiutarli; essendo ambientato in un videogioco, anche il materiale di scena è stato realizzato a computer. Solamente i costumi sono stati uno dei pochi elementi tangibili di cui Rodriguez ha dovuto curare il design.
Il risultato a cui il regista e la sua troupe sono arrivati è sicuramente una piccola rivoluzione nel campo della tecnologia cinematografica, ma ancora di più in quella della fruizione: la sala si trasforma in una sorta di padiglione circense dove le immagini sembrano uscire dallo schermo per toccarci e lo spettatore vive l’emozione di un nuovo modo di osservare
Curiosità: Robert Rodriguez: “L’idea era quella di creare un incredibile set dopo l’altro e far si che, mano a mano che si procedeva nel gioco e ci si coinvolgeva sempre di più nelle avventure dei personaggi, ogni livello fosse visivamente più complesso del precedente. Volevo costruire un gioco con il quale mi sarebbe piaciuto giocare insieme ai miei figli, e che allo stesso tempo ci facesse venire la voglia di poterci entrare dentro. Ovviamente, doveva anche essere un gioco che prevedeva per ogni diverso livello oggetti “volanti” che i giocatori avrebbero dovuto schivare. C’erano un sacco di cose a cui pensare ed un’enorme quantità di design da condensare.”
A cura di Francesca Bertazzoni
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