A fuoco lento
Ingredienti: un serial killer possibilmente spietato, una star in cerca di una nuova veste, un nuovo “belloccio” hollywoodiano, una manciata di scene di sesso, happy-ending, sangue q.b.
Preparazione: Anche un bambino ormai sa come cuocere a fuoco lento un pubblico che dal cinema vuole solo storie ed evasione. Non per niente, qui in Italia, “In the cut” è al quarto posto nella classifica dei film più visti dopo “Natale in India”, l’ultimo Pieraccioni e “Master and commander”. Ma, se, decidendo di andare a vedere il film di Parenti, si sa a cosa si va incontro, scegliendo quello della Campion, ci si aspetta un film “d’autore”. Ora, il problema è che, per la prima mezz’ora, “In the cut” sembra addirittura un film d’autore: lo stile, i colori, le inquadrature che pedinano i pensieri e gli sguardi dei personaggi e i giochi di luce sono davvero eleganti e freschi (anche se dopo un po’ di inquadrature sfuocate ci si inizia ad innervosire). Presto, però, questo stile si rivela una semplice trappola (tanto che nel secondo tempo non ce ne sarà nemmeno più traccia): lo spettatore si ritrova impigliato (e quasi incuriosito) in una storia senza capo né coda, con dei personaggi stereotipati e dalle psicologie inconsistenti, mossi da chissà quale pulsione o movente (la Campion non è, evidentemente, donna di molte spiegazioni – ad esempio, quali sono le motivazioni che spingono il serial killer ad uccidere? -); ci si ritrova intrappolati in un film che potrebbe terminare già all’inizio del secondo tempo, quando Frannie svela a Malloy l’indizio che permetterà di individuare il responsabile degli omicidi (perché il detective non capisce subito???). Invece la Campion indugia, cerca di convincere lo spettatore di una versione dei fatti solo per sorprenderlo alla fine (con una trovata abbastanza poco geniale – ma di questo va incolpata la Moore -) e fargli credere di aver visto un thriller. Il finale, poi, ovviamente happy-ending, è una strizzatina d’occhio a tutto il pubblico femminile (sarà Frannie, infatti, a sconfiggere “il cattivo”).
In conclusione, forse è solo un po’ erotico questo non-thriller, non-psicologico. Solo un po’ perché non credo che Meg Ryan sia esattamente il sogno erotico degli uomini – italiani e non – (forse sarebbe stato meglio vedere al suo posto Nicole Kidman, come doveva essere inizialmente); e che Ruffalo, con quel suo personaggio apatico, possa destare qualche interesse nel pubblico femminile.
Se quando uscite dal cinema vi sentite quasi appagati, complimenti allo chef! La ricetta è perfettamente riuscita!
Curiosità: Il personaggio più riuscito è quello minore di John Graham, un ex di Frannie nevrotico e ossessionato da lei, interpretato (ottimamente) da Kevin Bacon e stranamente non citato nei titoli di testa.
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