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cultura dell'immagine e della parola

In bianco & nero

Questo è un Fermo Immagine in bianco e nero più per i suoi contenuti che non per l’evidente contrasto cromatico tra il platinatissimo ex-portiere juventino e il giornalista africano. L’accostamento delle due interviste a Stefano Tacconi e Idris Sanneh mette in luce due modi profondamente diversi di essere in televisione, e lo fa in modo così esplicito da non aver bisogno di commento alcuno.
Chiedo solo una cortesia al lettore: non essere prevenuto.
La televisione è un habitat complesso dove il vip e il giornalista, con funzioni e pesi diversi, possono convivere senza eccessivi traumi per se stessi e per gli spettatori. Personalmente credo che l’importante sia che ciascuno faccia bene il suo lavoro.

Stefano Tacconi

Qual’è il tuo rapporto con la televisione come spettatore?

La guardo poco, però quando riesco a vederla cerco di seguire tutti quei talk show da cui riesci a trarre qualche insegnamento, ad esempio Porta a Porta . Poi mio figlio mi costringe a guardare cose come i Pokemon e simili. Adesso con Sky ci sono addirittura otto canali pieni di cartoni animati e per me è diventata una sofferenza.

La tua collocazione nel piccolo schermo è cambiata con gli anni: prima apparivi in TV per quello che facevi come portiere della Juventus, adesso invece sei diventato un personaggio televisivo a tutti gli effetti. La differenza si sente?

L’andare sull’Isola dei Famosi per me non è stato una necessità, tra tutti io ero quello che già appariva in televisione. Diciamo che è stato un qualcosa in più, che comunque non mi ha cambiato. Continuo a fare le stesse cose che facevo prima… magari faccio qualche intervento in più.
Il passaggio da calciatore a ospite televisivo a tempo pieno non è una cosa da poco…
E’ stata una mia scelta, l’importante è questo. Quando smetti di essere un giocatore puoi continuare a fare calcio o decidere di fare cose diverse. La direzione che ho scelto mi consente di mettermi in gioco, di verificare ogni giorno quello che so fare.
C’è anche da dire che io sono fortunato, perché ho fatto un programma in cui ero guardato da milioni di persone. E poi già facevo molte apparizioni quando giocavo, frequentavo l’ambiente dello spettacolo , andavo alle feste. Ormai sono pratico di questo mondo, a differenza di molti altri so come ragionano gli addetti ai lavori, e ti assicuro che non è un vantaggio da poco.

E per quanto riguarda il futuro? Hai qualche progetto dopo l’Isola dei Famosi?

No, niente di particolare: io non sono andato sull’Isola per cercarmi un lavoro. Ci sono andato perché è un po’ il sogno di tutti i quarantenni finire su un’isola deserta. Non ci sono andato neanche per recitare una parte, e non a caso sono uscito per primo…

Deluso?

Assolutamente no, anzi: sono contentissimo. Tra l’altro uscire per primo in questi programmi porta fortuna. Ho fatto un sondaggio e ho scoperto che tutti si ricordano il primo uscito e il vincitore, mentre nessuno saprebbe dire chi sono stati il secondo, il terzo e così via. Alla fine mi sono anche risparmiato un po’ di fatica.

Idris Sanneh

Idris, che spettatore sei?

Sono uno spettatore molto critico. Amo la televisione, mi piace guardare i programmi degli altri, ma a patto che siano fatti in un certo modo: credo in una televisione educativa ma non paternalista, una televisione di servizio.

Tu sei arrivato in televisione come personaggio a “Quelli che il calcio”, solo in un secondo tempo è emersa la tua competenza professionale. All’inizio non ti è pesato il ruolo che ti era stato dato?

In televisione funziona così: all’inizio ti prendono come una macchietta, come un uomo di passaggio. Se però sei capace di fare il tuo mestiere, allora puoi fare emergere quello che sei, il tuo punto di vista e quello che rappresenti.
Per me il passaggio non è stato molto difficile, soprattutto perché io nasco come giornalista, con un indole giornalistica. Poi la mia curiosità culturale mi ha portato a voler fare altre cose, ma sempre con impegno sociale, avendo qualcosa da dire e rappresentando una fascia di individui ai quali era stata tolta la possibilità di parlare. Non mi sono mai proposto come un “megafono” degli immigrati, ho solo voluto essere una voce all’interno della pluralità dell’informazione

In questo momento sembra che i telegiornali abbiano in parte perso la propria capacità informativa, tu come vedi la situazione italiana?

C’è un’informazione allineata: pur esprimendosi in modo variegato e politicamente denotato, i soggetti televisivi si rifanno tutti alle stesse fonti. Ci sono le grandi agenzie da cui tutti attingono, ma mancano i personaggi che sappiano veramente interpretare le notizie per la gente. Ci sono tanti mali ma nessuno ha il coraggio di denunciarli: la forbice tra paesi industrializzati e Terzo Mondo si allarga ogni giorno di più, ma i network sono troppo occupati a inseguire la propria audience e le proprie strategie pubblicitarie per occuparsene.

E la spettacolarizzazione dell’informazione come la giudichi, tu che sei stato sia giornalista che uomo di spettacolo?

L’infotainment esiste da che mondo e mondo. E’ una risorsa importante: se ben calibrato riesce attraverso la leggerezza a far riflettere le persone. Certo, negli ultimi tempi l’abbiamo colorato un po’ troppo con veline, tette e teste vuote. Ad aggravare la situazione c’è poi una critica acerba e troppo spesso assoldata. Come diceva il mio amico Weah: “E’ tutto un magna magna”.

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