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cultura dell'immagine e della parola

Quel grand’uomo di Giacomo Valenti


“Scarpe grosse e cervello fino” avrebbe detto la mia nonna.
Perché quando parla di Giacomo Valenti, classe 1966, attore e regista teatrale, voce radiofonica e televisiva di programmi come Zero-tre-tre-sette, Candid Camera e Wrestling Smackdown!, non si può non soffermarsi almeno un secondo sulla sua stazza imponente, divenuta ormai un biglietto da visita.
Ma oltre al fisico c’è dell’altro: una persona preparata, un professionista che conosce il linguaggio della televisione e se ne sa servire anche in modo innovativo. Le risposte che mi ha dato in questa intervista sono la riprova che per avere successo anche i programmi leggeri e di intrattenimento devono essere studiati con attenzione e sorreggersi su solide basi teoriche.

A riprova della sua poliedricità, tra una domanda e l’altra Giacomo ci anticipa anche l’uscita del suo secondo libro (che segue Dio mio come sono caduto in grasso!, del 1997); che si intitolerà Teste di Gazza e sarà un omaggio a tutti quelli che con scherzi, gaffes e scaramanzie hanno dato al calcio un volto più umano.
Ma questa è un’altra storia, che magari racconteremo in un’altra rubrica…

L’argomento della nostra chiacchierata è la televisione. Ti conosciamo come addetto ai lavori, ma che tipo di telespettatore sei?

Oh, bella questa domanda! Dunque, come spettatore adoro Blob, lo trovo fantastico.
L’anno scorso, quando conducevo Furore, mi è capitato di finirci dentro ed ero esaltato come un bambino. Anche adesso, quando qualche frammento delle mie telecronache del wrestling viene preso ed utilizzato come insert, io godo come un pistola.

Bene, hai citato il wrestling, un programma che io adoro fin dagli anni Ottanta. Che esperienza stai vivendo come commentatore?

Beh, innanzitutto è divertente. Poi c’è un discorso molto particolare da fare per quanto riguarda il linguaggio che ho scelto di utilizzare. Io sono subentrato a Dan Peterson, che faceva una cronaca che magari non era “seria” nel senso canonico del termine, ma che comunque era molto tecnica. Quando sono arrivato io gli autori del programma mi hanno spiegato che bisognava cambiare registro, provare qualcosa di diverso.
Siamo partiti dalla considerazione che il pubblico italiano è più smaliziato di quello americano e non “abbocca” a tutta la finzione del wrestling, capisce che a volte se le danno sul serio e a volte no . Allora abbiamo deciso di valorizzare un altro aspetto del format, quello più vicino alla fiction. Pensa, gli sceneggiatori del wrestling sono gli stessi di Friends, e la struttura di base è quella di Beautiful: io ti frego la donna, tu ti vendichi, mi fregi la macchina e allora io ti picchio. Ci sono tutti questi odi trasversali che originano delle storie, quelle che gli americani chiamano feud, che sono la vera spina dorsale del programma. Sì, in fondo è proprio Beautiful, solo che questi invece di baciarsi e copulare si menano.
L’innovazione che abbiamo introdotto è che io commento queste storie piuttosto che il gesto tecnico, che comunque è presente ed è molto importante: i wrestler sono degli atleti eccezionali che si allenano otto ore al giorno per compiere quelle acrobazie. Se ci provassi io a fare delle cadute del genere dovrebbero usare la mappa per ricompormi!

A proposito di innovazioni nel linguaggio, mi sembra che anche con Candid Camera tu abbia sperimentato soluzioni nuove…

Sì, anche in questo caso insieme agli autori abbiamo provato ad introdurre una nuova chiave di lettura. A differenza di quello che era il classico modello di commento delle candid camera, che si sviluppava a partire da un punto di vista esterno e provava ad entrare nella testa dell’autore, io compio un lavoro che parte dall’interno, interpretando con la mia voce la vittima dello scherzo. In questo modo ne faccio dei personaggi, caratterizzandoli anche con le diverse inflessioni dialettali.
Poi ogni tanto faccio anche l’attore per le candid. Adesso ne stiamo realizzando una nuova serie che ci ha commissionato Italia Uno: hanno visto quelle dell’anno scorso e sono letteralmente impazziti.

Questo mi porta a una riflessione un po’ particolare: tu hai sempre giocato molto sulla tua corporeità, eppure in molti dei programmi che hai realizzato non compari fisicamente ma solo vocalmente. Come hai fatto a tradurre il tuo corpo in voce?

La voce in grasso? Mah, è una cosa naturale, mi sono sempre sentito a mio agio sia che mi esprimessi con tutto il corpo sia che utilizzassi solo la voce. Poi la corporeità c’è sempre stata: Ciccio Valenti non è un marchio registrato, ma poco ci manca.

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