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La vita, che grande ossimoro!

La vita, che grande ossimoro!

I racconti di questo breve libro ci trasportano davanti ad un palcoscenico privo di scenografia, e i cui atti vengono scanditi dalla successione dei racconti stessi.
Protagonisti indiscussi di questa pièce sono quelle strane creature in carne ed ossa che siamo soliti chiamare persone. Tenere e grottesche, esse si aggirano più o meno consapevoli sul buio palcoscenico che solo per pochi minuti viene irradiato da un cono di luce bianca. Sparsi ovunque creature e oggetti eccentrici, che s’infiltrano, provocano e molestano, desiderosi di porre quesiti e di ricevere risposte.
Enormi cosce di tacchino fumanti, che una donna esperta estrae da una pentola bollente, e delle quali odoriamo l’aroma penetrante di cipolle, biete e spezie, divengono il pretesto per parlare dell’educazione alla vita sessuale di pochi sbarbatelli, novizi occhi che si affacciano su un mondo pieno di mistero e attrattive.
La mente dell’autore estrae, dal serbatoio infinito di ricordi, scene di tutti i giorni, rivestendole di grottesco e di sana follia. L’atavica sfida di un uomo, che scommette di riuscire a mangiare un topo, e diventa il centro di un incalzante duello fra specie viventi.
Gli amici non gli credono, il nipote lo guarda con occhi adoranti, il topo, vittima designata, si comporta come il più coraggioso degli eroi , accettando il destino che le moire hanno filato per lui. È questo il racconto più interessante, quello davvero fuori dal coro. Apparentemente comico, ma realmente serio: gli spunti sono biblici, un Davide e un Golia dei giorni nostri, anche se la conclusione esula dal contesto. Il topo e l’uomo finiscono con l’essere una medesima identità, in una “battaglia “ che diviene lotta contro se stessi ed è cantata con lirica emozione dall’autore. Il topo soccombe, viene divorato dall’uomo, che in ultimo non riuscirà a trattenere un conato di vomito. Il topo viene pianto a lungo: con la sua scomparsa la salvezza del branco è messa a repentaglio. Egli era l’esemplare più valoroso del gruppo, quello che non fuggiva davanti a nulla. E non è scappato nemmeno davanti al suo destino: qui la celebrazione dell’autore alla vita della morte, a quanto sempre più spesso dovremo abituarci ad affrontare le contraddizioni e gli ossimori della nostra esistenza. Perché non rischiare, dicendo che l’insegnamento che forse dovremmo trarre da questa lunga diatriba è che gli individui più validi affrontano la vita della morte, lasciando gli altri a destreggiarsi tra gli affanni della morte della vita, incapaci di gestire i dolori e le contraddizioni di tutti i giorni ?
Questa pellicola di ricordi, dopo un incipit brillante e trasgressivo, ci lascia perplessi e perde parte della sua vivacità, per cadere nel torbido del “ già visto, già letto, già sentito”, e abbandonarci al nostro flusso di coscienza, ai nostri ricordi, ai nostri tacchini, e ai nostri Rats.

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