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Chen Kaige, un Roberto Rossellini cinese?

Chen Kaige, un Roberto Rossellini cinese?

Nel film di Chen Kaige la Cina tradizionale sembra separata da quella moderna non da chilometri ma da secoli di distanza, tanto è macroscopicamente diversa la realtà urbanistica e socio-economica dei villaggi da quella di una grande metropoli come Pechino. Passare dai templi rupestri della periferia di quell’immenso paese ai maestosi Hotel della capitale, diviene quindi un sorta di viaggio nel tempo più che un semplice percorso. Lo spaesamento che ne può derivare è enorme. E il tredicenne Xiao Chun (Tang Yun); armato solo di violino e del suo eccezionale talento nel suonarlo, proveniente come il padre Liu Cheng (Liu Peiqi) da un piccolo villaggio, ne viene investito in pieno. Ma a Pechino, il giovane musicista non proverà solo l’emozione dell’impatto con la grande città e con un’importante scuola di musica, dove è atteso per una audizione, ma anche quella per i primi, platonici ardori sentimentali. A scatenarli sarà la disinvolta e sexy Lili (Chen Hong); incrociata per caso, con tanto di minigonna e calze a rete, capace persino di baciare in pubblico il proprio accompagnatore. Cose che per il ragazzo acquistano suggestioni lunari. Impensabili per un come lui, abituato al massimo ad occhieggiare qualche foto di modella inserita di nascosto negli spartiti musicali. Xiao, frequentando Lili – perché lei adora sentirlo suonare – con la sua tenera ingenuità non capirà mai che la ragazza dei suoi sogni è una semplice accompagnatrice di facoltosi clienti. Ma a rimarcarlo ci pensa il regista. Assieme a dei quadretti di vita comune della capitale dove vige il malcostume delle raccomandazioni e delle clientele, a cui nemmeno un ragazzo col talento di Xiao, perché povero, può pensare di accostarsi per affermare le proprie capacità. Un malcostume che noi occidentali conosciamo molto bene (siamo dei professionisti nel settore); ma che evidentemente ha preso piede anche nella Cina comunista. Oltre a questo, nel film di Kaige (che ricorderete per “Addio mia concubina” e “Le tentazioni della luna”) affiora con forza un altro tema: il rapporto tra padre e figlio. Dove il primo investe tutte le magre risorse pur di portare al successo il secondo. Ma quella paterna è un’iniziativa senza dialogo col figlio, senza convergenti spinte emotive, che alla fine esaurirà la sua pur generosa forza inerziale. Il regista, con molta onestà intellettuale, in conferenza stampa ha confessato tranquillamente che solo dopo aver rivisto il film si è reso conto della quasi preminenza del rapporto padre-figlio sul tema cardine della pellicola. In ciò ha ravvisato una forte impronta autobiografica, aggiungendo, in tono grave, che ai tempi della rivoluzione culturale venne costretto a denunciare il padre. A quel punto, scusandomi per l’intrusione nei suoi affetti, gli ho chiesto se non trovasse giusto raccontare anche quella dolorosa vicenda personale in un film. Al che mi ha risposto che farà sicuramente parte dei suoi futuri progetti, ma quando vi saranno le condizioni per attuarli. Precedentemente, a Kaige avevo chiesto se e fino a che punto la vicenda di Xiao Chung attingesse dalla realtà. Poiché la dovizia di particolari presenti nella storia lo faceva supporre. A tal proposito, la replica del regista è stata più che compendiosa. «In realtà credo che la storia vera si più drammatica del film – ha esordito Kaige – e proprio per caso mi ero imbattuto in un programma televisivo in cui si raccontava la storia di questo padre che aveva portato da una provincia molto lontana il proprio figlio a Pechino per fargli perfezionare lo studio del violino. Questo padre era molto orgoglioso del figlio. Tant’è vero che ogni volta che il ragazzo andava a lezione nell’appartamento del maestro, il padre si sedeva per le scale ad aspettarlo. E ad ogni passante diceva: “Sentite? Questo ragazzo che suona è mio figlio che sta prendendo lezione!”. Però la storia vera finisce in maniera più tragica, in quanto ad un certo punto il figlio dice al padre: “Io non voglio fare il musicista. Questa è stata una tua scelta. Io voglio fare l’uomo d’affari”. Al di là di questo, sono stato informato che attualmente ci sono più di un milione di bambini cinesi che stanno imparando a suonare uno strumento. La cosa strana di tutto ciò, è che molti di loro provengono da famiglie molto povere. Credo che ciò rappresenti la smania di quei genitori che usano la chiave dei figli per arrivare ad essere ricchi e famosi. Il che significa che la musica è come molti altri oggetti o beni: è in vendita. Qual è quindi la differenza tra la Cina dei tempi odierni e i tempi molto difficili in cui sono cresciuto, mi chiedo. Credo che la differenza sia enorme. A quell’epoca, sebbene attraversassimo un periodo di enormi difficoltà politiche, di forti pressioni, comunque percepivamo la musica e le altre forme d’arte molto meglio di quanto non succeda ora. Perché la musica può uscire ed essere goduta soltanto dal cuore, mentre oggi la storia, come ho spiegato, è completamente diversa». In perfetto accordo con l’analisi di Kaige, concludo soltanto osservando che il suo film contiene una trascrizione poetica della realtà che noi europei, a parte qualche illustre eccezione, non sappiamo più esprimere. Meno male che esiste la Cina e un autore sensibile come Chen Kaige, che più ci penso e più mi appare come un Roberto Rossellini cinese.

* Osvaldo Contenti è autore assieme a Renzo Rossellini del volume “Chat room Roberto Rossellini”, Luca Sossella editore, pp. 160, euro 15

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