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cultura dell'immagine e della parola

Tagliacorto – Interviste ai registi

Intervista a Stefano Giulidori, regista di Maria Oriente Maria Occidente

Come vedi il tuo cortometraggio all’interno del Festival Tagliacorto?
Stefano Giulidori
L’iniziativa del festival mi è sembrata stupenda, molto interessante, non aspettavo altro che ci fosse una rassegna in questa zona. Il mio corto lo sento quasi fuori luogo, ho deciso di farlo partecipare più come tributo verso questa zona piuttosto che per il concorso in sé. Gli altri corti mi sembrano molto più presenti sul tema del disagio e più a contatto con la realtà. Tutti gli angoli, tutte le inquadrature, soprattutto in I colori di Viola, sono vie della città, tutte riconoscibili, sono storie vere. Io invece già forse sono di un’altra generazione, quella dei trentenni, con problematiche completamente diverse.

Il tuo film è stato realizzato in maniera molto professionale. È stata la tua prima esperienza?

È il mio primo cortometraggio come regista, ma ho già fatto da aiuto regista in un paio di lungometraggi, mentre per vivere faccio pubblicità, sono assistente di produzione, un lavoro non molto creativo ma sicuramente divertente.

A differenza di altri corti, che girano attorno ad una singola idea, il tuo ha un respiro più ampio, si può quasi parlare di un piccolo lungometraggio?

Il problema è che io non riesco mai ad essere molto breve, anzi invidio molto i miei colleghi che riescono a condensare le proprie idee. Comunque questo non nasce come idea di lungometraggio, ha la durata che avevamo preventivato dall’inizio. Nasce molto come racconto autobiografico, di cose che mi sono accadute personalmente negli ultimi anni.

Com’è proceduta la realizzazione del film?

Per scriverlo abbiamo impiegato circa un anno, dando appunto una forma ad alcune mie storie e preparando tutto per poter girare in meno tempo possibile e con la minor spesa possibile. Poi abbiamo realizzato il film in tre settimane e montato audio e video in tre mesi. Voglio appunto ringraziare tutti quelli che hanno collaborato al film perché senza di loro non avrei potuto fare nulla. Sono ex studenti della scuola del cinema e insieme abbiamo cercato di creare un clima più professionale possibile, grazie anche a qualche professionista come il montatore del suono, Claudio Morra (Tutti giù per terra, Honolulu Baby).

Intervista a Filippo D’Ospina, regista di Màmmata muriu (Tua madre morì)

Da dove è viene l’idea di questo cortometraggio?
Filippo D’Ospina
Il lavoro nasce da una filastrocca che raccontava mia nonna quando ero piccolo. Era strana perché molto lugubre per un bambino, parlava di questa madre morta nelle ortiche e divorata dalle civette. Questa storia mi è sempre rimasta in mente, finché ho deciso di ampliarla con dei miei scritti nel mio dialetto. Quindi l’ho associata a delle immagini, innanzitutto a livello pittorico, dato che io nasco come pittore. Ho cercato insomma di studiare in profondità il rapporto tra parole e immagini.

A differenza di quasi tutti gli altri cortometraggi che hanno uno sviluppo più narrativo, il tuo quindi parte da presupposti diversi?

Si, questo è stato il mio primo lavoro in video e ho cercato di trasportare in immagini in movimento la mia esperienza di pittore, che mi ha sempre portato a ritrarre donne e madri in situazioni surreali e spiazzanti.

Hai fatto una ricerca interessante anche per quanto riguarda le location, spostandoti da Milano…

Si, sono stato nel mio paese in Salento, e ho ricreato le immagini stampate su pellicole del vecchio fotografo del paese, che è mio nonno, come per confrontare la tradizione con un linguaggio più attuale. Volevo richiamare poi dei topos della mia terra, come la tarantolata o il sole che brucia allo zenith, senza però essere troppo sfacciato nella rappresentazione. Quindi la protagonista nelle fattezze è una classica ragazza salentina a cavallo tra l’essere tarantolata e folle e l’essere pura poesia.

Intervista a Claudio Miotto, regista di I colori di Viola
Claudio Miotto
Tu sei autore di tutto il cortometraggio, dalla sceneggiatura al montaggio, da dove sei partito per la realizzazione?

Mi sono vagamente ispirato alla storia di un’amica, ma quello che mi premeva era di far capire quella che è l’incomprensione fra due generazioni che a volte cercano di parlarsi ma senza in realtà ascoltarsi.

In un’opera così autarchica, com’è stata la ricerca degli attori?

Nelle scene a scuola ho utilizzato tutti studenti, invece la protagonista, il padre e la madre sono amici di famiglia.

Essendo alla tua prima regia, ti sarai reso conto dei problemi che sorgono a girare un film. Quali sono stati i principali?

A parte i numerosi problemi di montaggio, che hanno anche penalizzato la visione del cortometraggio al festival, le difficoltà maggiori sono venute fuori con i movimenti di macchina dato che, non avendo attrezzature valide, mi sono arrangiato usando una sedia a rotelle per tutte le camere in movimento, con l’audio e con le luci (che non avevamo).

Come giudichi quindi questa tua prima esperienza?

Decisamente positiva, anche se adesso faccio fatica a guardare un computer, dato che per dieci giorni non mi sono staccato un secondo dallo schermo per poter finire tutto in tempo per il festival. Problemi e difetti del film erano preventivati, dato che è stato girato e montato in fretta, però è stato molto divertente anche perché ho voluto il minor aiuto possibile da amici più esperti in modo da scontrarmi con i problemi in prima persona.

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