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cultura dell'immagine e della parola

La cultura. L’immagine.


Ho fatto due conti ed è saltato fuori che questa rubrica ha ormai da sei mesi un posto fisso su “Hideout, la cultura dell’immagine e della parola”. Quando me ne sono reso conto ho pensato che era il momento di guardarsi allo specchio, Fermo Immagine è abbastanza matura da confrontarsi con la propria identità.
Sono sempre partito dall’assunto che la cultura sia il più alto prodotto di una civiltà, la massima espressione delle sue tradizioni e dei comportamenti in uso al suo interno. Per questo, in sintonia con la linea editoriale del sito, ho sempre cercato negli artefatti televisivi un segno della realtà, una sua chiave di lettura.
Questa volta, però, ho deciso di tentare il salto mortale, di invertire il percorso per andare a cercare nella realtà gli effetti dell’immagine e non il contrario.

Così mi sono recato alla festa per il compleanno dell’Accademia del Bell’Essere di Paolo Guatelli, 1000 metri quadri di sfarzoso centro estetico ad un quarto d’ora di tram dal centro di Milano. Mi sono lasciato guidare docilmente tra sale dedicate all’Ayurveda e rugiadosi bagni turchi, mangiando compostamente tartine macrobiotiche accompagnate da un biglietto da visita che ne specifica il contenuto calorico e sorseggiando tè verde e tisane detossinanti.
Attorno a me si mostravano in tutto il loro splendore i personaggi più glam della Milano televisiva, da Manuela Arcuri a Claudia Peroni a Francesca Senette al cast di Vivere. Sono addirittura finito su un divano al fianco di una letterina.
Dopo un semestre passato ad analizzare queste persone come segni in un tessuto semiotico, finalmente mi è stata data la possibilità di osservarli in forma di essere umani mentre parlano, mangiano e respirano.

Il risultato è stato diverso dal previsto, ma anche più interessante: coerentemente con l’occasione i personaggi televisivi non si comportavano da esseri umani (quello credo che comunque lo facciano nella vita privata). Sorridevano sotto un bombardamento a tappeto di flash, trovavano la luce migliore, mostravano il profilo destro e quello sinistro. Insomma, anche fuori dal tessuto semiotico svolgevano con incredibile professionalità il loro mestiere di segni.
E allora mi sono illuminato, ho capito: mi trovavo al centro di un mondo che attraverso un procedimento mimetico provava a farsi immagine televisiva, ricreando esteticamente la fiction ma vedendosi costretto a tralasciarne i significati.
Mi sono fatto i complimenti, avevo chiuso il cerchio: dopo aver cercato a lungo il frutto della realtà nella TV mi ero imbattuto in una realtà che era frutto della TV.

Poi sono uscito sorridendo, e la città era molto più concreta. C’era più asfalto sotto i piedi e più aria intorno alla testa. Mi è venuta voglia di andare a fare due chiacchiere con la vecchina che abita al secondo piano del mio condominio, che neanche so come si chiama ma sembra tanto simpatica.

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