Il mistero del riflesso incondizionato
Qualcuno ha fischiato, al termine della proiezione di “Segreti di stato”. Chi ha fatto ciò avrà trovato esagerate le ipotesi con cui il film si conclude? O forse, spinto dalla risacca di certa schiuma revisionista che sta gorgogliando da un po’ di tempo a questa parte, si sarà scandalizzato sentendo parlare di complotto anticomunista? Anche una recensione al film su “Il Giornale” ironizzava sull’incorreggibile tendenza dietrologica che infesta a sinistra, la voglia di dipingere il “comunismo” come innocente vittima di ogni diabolica atlantica macchinazione.
Ma lasciamo pure da parte “Il Giornale”.
Perché dunque hanno fischiato? Perché si fa il nome dell’Eterno, ovvero il senatore Giulio Andreotti? Ok, a qualcuno sta simpatico: i ragazzi di Comunione e Liberazione qualche anno fa gli intonarono, in quel di Rimini, uno strabiliante “Sei bbellissimo-oo” Lui gongolava. Poi i tribunali hanno accertato, “almeno fino ai primi anni ottanta”, la sua collusione coi mafiosi. Se penalmente la condanna gli sfila accanto, moralmente essa è già scritta. E’ lo svantaggio dell’essere Eterni.
Perciò: il nome Andreotti che salta fuori da una torbida, oscura, intricatissima storia italiana non è cosa che, a mio avviso, possa generare sgomento e incredulità. (Magari negli intonanti giovani sì.)
Sarà allora il sospetto di un coinvolgimento di ex-uomini di potere del Fascismo (siamo appena nel 1947…)? Sarà per l’ombra di Truman che si allunga in quegli anni sul “Belpaese”, in virtù degli impegni che vincolano il governo De Gasperi a questo campione d’anticomunismo? The president scuce la grana per ricostruire l’Italia, e giustamente gradirebbe che questa ricostruzione avvenisse ut decet.
Sarà perché viene anche fatto il nome del Vaticano e del Papa Pio XII? Su questo punto bisogna chiarire che il film di Benvenuti traccia un’ importante distinzione tra fatti documentati e supposizioni, testimonianze e sospetti. Quando parla di Truman e Vaticano fa ciò restando nel campo delle influenze, delle pressioni: non certo li indica come mandanti.
Ma quando accusa il ministro Scelba e altri membri di governo e parlamento di aver usato il bandito Giuliano per i propri disegni, allora non allude o insinua niente, anzi afferma con coraggio che lo Stato stesso si è sporcato le mani, e questo è il segreto da nascondere. Con tutti i mezzi.
(Ho il sospetto quindi che quei fischi fossero puro riflesso nervoso, i fatti neanche degnati d’una riflessione. Per qualcuno, e questo mi lascia allibito, anche solo annusare l’olezzo di certe italiche pattumiere è cosa insopportabile. Si preferisce chiudere il coperchio e parlare d’altro. Di più: si critica l’impudico che suggerisce di darci un’occhiata, a quella monnezza.
Un esempio: si legga un editoriale a scelta di Ostellino sul Corriere.
L’enigma resta, e mi tormenta. Perché fischiano?)
Non si può non parlare dello stile di Benvenuti: chirurgico, quasi metallico. Un tavolo operatorio. Per mostrare il frutto delle ricerche compiute (basate sulle indagini dello scomparso giornalista Danilo Dolci); il regista si avvale di didascalici modellini, disegni, storyboard, perfino, trovata geniale, di “tarocchi” raffiguranti le persone che potrebbero aver avuto un ruolo nella vicenda. E’ uno stile massimamente spoglio ma congeniale a far emergere i fatti nella loro gravità; e del resto è davvero riconoscibile, personale, e questo mi pare il compenso, per lo spettatore, a tanta analiticità.
• Le pagelle dei film di Venezia secondo Hideout
A cura di Mario Bonaldi
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