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Il cielo dei lettori

Il cielo dei lettori

Questo secondo romanzo di Elena Ferrante mi ricorda la parte finale dell’Inferno dantesco: il Poeta si sta calando giù per il corpo smisurato di Lucifero, abbrancato alla malignesca sordida pelliccia, e ad un certo momento non capisce più se sta scendendo oppure salendo, deve girarsi e ristabilire qual’ è il fondo e quale la via che lo porterà “a rivedere le stelle”… in un preciso punto del cosmo, del tempo, tutto si ribalta, qualcosa scatta e rovescia ogni aspettativa, ogni previsione.

Solo poche righe, dall’inizio della narrazione, e la protagonista de “I giorni dell’abbandono” inizia la sua discesa… dopo un pranzo qualsiasi, come se niente fosse, il marito le dichiara la sua decisione di andarsene… di lasciarla. Per un’altra donna. Molto giovane. Poche parole, ma fatali… pronunciate con troppa leggerezza, infame incoscienza… egoismo….
Inizia a vorticare, Olga. Noi con lei, inesorabilmente, pagina dopo pagina.
La forza del romanzo è di trasformare la quotidianità di gesti, situazioni, in atti di tragedia. Ogni scelta di Olga, ogni sua azione, è un gradino in più di discesa, ulteriore svolta del labirinto in cui s’è perduta. E’ l’umiliazione di sentirsi smessa come una gonna fuori moda, di vedere un mondo di certezze e abitudini consolidate crollare tutt’ intorno… l’onta oscena di essere oggetto di rifiuto.
La donna che fino a quel momento aveva condotto un’esistenza tranquilla, convinta del fatto che ogni cosa avesse raggiunto il proprio equilibrio, si ritrova a dover lottare per sopravvivere, a guadagnare la fine delle giornate come metri di un territorio conteso alla vita. Olga si rende conto che l’Amore, quello con la A maiuscola, è il più delle volte inganno, illusione… è proiezione del proprio benessere fuori di sé, sulla pelle di un’altra persona… un azzardo… l’amara scoperta che il pretendere di trovare presso altri la propria personale armonia è qualcosa che prima o poi si sconta. Ecco dunque una donna, sola, con due figli e un cane, nella Torino rovente di luglio. Una città che è sentita come estranea, inospitale… ecco riafforare, allora, giorno dopo giorno, la Napoli dell’infanzia, i relativi fantasmi, le immagini che un tempo avevano colpito la fantasia di quella bambina che giocava e osservava… le altre donne, i loro amori… le loro delusioni.
Il culmine del romanzo, il suo momento più alto, coincide con il fondo del baratro che la protagonista infine giunge a toccare: come nel celebre nastro di Moebius, è impossibile distinguere il sopra e il sotto, il dritto e il rovescio.
E’ la mattina calda e accecante di una giornata come tante; e pure nasconde l’imbocco di un sentiero allucinato e tremendo, che assume via via i toni della tragedia e della narrazione epica, pur rimanendo all’intero del prosaico teatro delle mura domestiche. La luce del giorno si cambia in tenebra, la sicurezza del conosciuto nasconde incognite innominabili, mentre ogni elementare forma di conoscenza è azzerata. La scrittura della Ferrante qui crea qualcosa di unico e sorprendente, mirabile sintesi dell’eterno, umano dolore di chi perde la ragione, e con essa ogni bene, ogni possesso. Olga è ora sola in un limbo sconosciuto e sfuocato, una landa nebbiosa, confusa, un serraglio di bestie paurose e crudeli… In un tale stato anche solo aprire una serratura risulta impossibile: nella dimensione stravolta che il dolore ha generato si sta come nelle sabbie mobili, ogni mossa peggiora solamente la situazione. Un’invenzione letteraria quale la figura della piccola figlia di Olga, incaricata in questo giorno fatale di seguire e correggere i passi di colei che un tempo le diede la vita, e ora non è più in grado di badarvi, è qualcosa che sente del mitologico. Una creatura inviata da una divinità non del tutto indifferente, affinchè sposti le pietre e i rami dal cammino di una donna che attraverso il suo giorno più buio sta cercando il filo di luce. Tenue, ma sufficiente.

Scendiamo con Olga, finchè la tenebra lo consente. Grazie alla penna di Elena Ferrante ci siamo lasciati cadere così liberamente da non intravedere più qual’ è il fondo e quale la vetta. Ma in fondo sappiamo quale via è riservata a noi lettori. D’ora in poi, per Olga sarà l’emersione, il cammino verso la luce. Le pagine che ancora fanno vivere la protagonista, dopo quella giornata di passione, a noi non servono. Il suo abisso era il nostro cielo: noi si resta lì. E’ il bello della letteratura. Noi, di risalire, non ne abbiamo bisogno.

Nota: I giorni dell’abbandono è il secondo romanzo di Elena Ferrante. Dalla sua prima opera, L’amore molesto, è stato tratto l’omonimo film di Mario Martone (1995). Di questa autrice schiva e riservata si sa ben poco: persino il suo nome potrebbe essere uno pseudonimo.

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