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cultura dell'immagine e della parola

Frizzi e lazzi

Frizzi e lazzi

Il tentativo di emulare le gesta de Il Mestiere delle Armi è solo un sospetto che balena leggiadro nel sospettoso osservatore. C’è quel po’ di Arca Russa nelle sequenze dedicate agli arredi di interno e agli affreschi ostentati. Nella voce fuori campo, nella musica e nei balli che ne sfociano. Tutto evoca sentimenti di tranquillità, di equilibrio, di pace psichica. Così efficacemente armonioso da richiamare persino il sonno. Il tempo passa tranquillo nella dolce attesa del nascituro, mentre le serate si consumano attorno al pianoforte o agli scacchi e le giornate si spendono all’aperto, tra giardini all’italiana e boschetti incontaminati dove si aprono quieti specchi d’acqua. Il dubbio che sorge sempre, di fronte all’ammirevole sforzo di ricostruzione degli ambienti è se veramente chi li abitava si esprimeva tutto il giorno con un registro così impetuosamente aulico. Mai che si impappinassero o che scappasse un’interiezione, mai che si prendessero il gusto di qualche rotonda volgarità. Nulla. Solo frasi interminabili, dall’articolatissima ipotassi, micidialmente aggettivate.
Il Signor Cazotte, che oggi sarebbe indicato come esempio clinicamente lampante di pedofilo, è tipicamente inquadrato nei costumi dell’epoca, nella quale amanti giovanissime erano all’ordine del giorno. La sua bella ha già vent’anni e questo basta per appianare tutti i problemi derivanti da una differenza di età di oltre 40. Se non fosse che Cazotte è un pervertito che, non interessato all’incontro carnale, preferisce appagarsi di pensieri imbarazzanti relativi alla devastazione morale dell’agognata fanciulla. Vorrebbe la poveretta condannata ad una vita di strazio per l’amore non consumato nei suoi confronti, immaginandola a fianco del futuro marito alienata dai pensieri per lui.
Andrà a finire che la bella e impassibile ragazza lo rigirerà come voluto, cavalcando allusioni e frecciate, non esitando a mostrarsi ignuda ed arrivando ad evocare una sua inesistente gravidanza a causa dall’anziano, il bravo JP Cassel, che a quel punto è definitivamente vinto.
Bravo assai anche Silvio Orlando nel ruolo del Cafone che gravita intorno alla corte, semplice e dislessico ma in fondo buono e innamorato della moglie.
Il tutto è costruito come se si trattasse di una sinfonia in tre atti e risulta complessivamente armonioso. Quando si pensa ad un film d’essai ci compare davanti giusto una realizzazione come questa: ben fatta al punto giusto e sufficientemente noiosa, anche se frivola come in questo caso.

Curiosità: pronto da 20 anni, esce nelle sale solo ora.

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