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L’eterno ritorno dell’isolano

L'eterno ritorno dell'isolano

Da un lato la Sicilia, terra briosa caratterizzata da colori accesi e da una società fortemente tradizionalista; dall’altro Milano, grigia e fredda, città del progresso in cui a ognuno (o quasi) è data la possibilità di inseguire il proprio sogno. E’ questo lo scenario che Battiato ci presenta nel suo film di debutto, da lui scritto e diretto, in cui viene ripercorsa la vita di Ettore, un ragazzo siciliano che emigra al nord per cercare fortuna nel campo delle arti. Viaggio che corrisponderà anche a una liberazione da quella prigionia culturale e sessuale vigente nella Sicilia patriarcale che ci viene mostrata. Seguendo una struttura circolare, il film si apre con le parole di Manlio Sgalambro a fare da cornice ad una terra pittoresca e un po’ patinata: Ettore è un bambino che alla domenica mattina viene svegliato puntualmente dalla nonna per andare a messa e la sera sogna grandi navi a solcare il mare, illuminate da un limpido bagliore lunare. Dopo un salto temporale di quasi un ventennio, lo ritroviamo in una nebbiosa e industriale Milano, alla ricerca di una casa editrice disposta a pubblicargli un suo manoscritto. Nel frattempo segue corsi di joga, medita, guarda di nascosto video tantrici e suona in gruppi musicali occasionali. Con la terza e ultima si ritorna in Sicilia: la voce di Sgalambro chiude il cerchio con un riferimento alla spietata legge dell’appartenenza (al suolo siciliano in questo caso). Una particolare attenzione è dedicata alla musica, non soltanto una colonna sonora, ma corpo che cresce e si forma seguendo la storia, esponente di una cultura in profonda trasformazione: si va dalla classica di Bach, ai cantautori francesi e ovviamente agli hit anni’60 ( “Perdutoamor” è il titolo di una canzone del belga Adamo, rifatta da Battiato per questo film). Curiose sono le comparse appartenenti alla scena musicale italiana degli ultimi anni e non solo: da G.L.Ferretti, a Moltheni e Morgan, passando per DeGregori, fino ad arrivare a Maurizio dei New Dada. Volti noti che forse sperano di colmare il vuoto lasciato da una completa mancanza di costruzione di un personaggio credibile: lo stesso protagonista sembra solo il filo conduttore che permette al regista di arrivare alla fine del film; il suo ruolo viene strumentalizzato, privato di uno spessore ed è come se i fatti fossero descritti ma non vissuti.
Il film manca di una narrazione solida, i dialoghi sono spesso incongruenti, riducendosi a citazioni filosofiche senza capo né coda, arrivando fino alla demenzialità (come il monito del vecchio paesano a Ettore prima che parta per il nord). Insomma, il film appare come una messa in scena di ricordi scollegato tra loro anche se bisogna riconoscere che i tentativi di verosimiglianza storica ci sono stati: ben riusciti in Sicilia (con la gommina per capelli Linetti o le auto d’epoca); un po’ meno a Milano (dove c’ è una grande confusione nei costumi di scena, per esempio).
A proposito della sua Sicilia idilliaca, alla seguente domanda postagli in una intervista rilasciata a Ispica il 19 ottobre 2002 ,- Gesualdo Bufalino in “Argo il cieco” descrive gli stessi anni del dopo guerra, negli stessi luoghi, parlando di una felicità forse però inventata. Quella che tu vuoi raccontare è felicità reale?- Battiato rispose: – Il libro che hai citato è splendido. Voglio raccontare la felicità che c’era a quell’epoca. Venivamo da una guerra disastrosa e quindi gli anni ’50 e ’60 sono stati di ricostruzione: le case erano sempre aperte, nessuno si sognava di rubare a qualcun altro, me lo ricordo bene che non si chiudevano mai le nostre case, ora succede il contrario. Ricostruirò una Sicilia nobile ed elegante. Sarà una rappresentazione reale, ma censurerò alcuni aspetti grossolani che non mi interessano, per rendere tutto più affascinante.-.

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