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La strage dimenticata

La strage dimenticata

Il film è scandito da due piani narrativi principali tra loro intrecciati: un primo livello è rappresentato dalla realtà contemporanea in cui agiscono i personaggi di Ani, Raffy, la troupe sul set del film di cui alcune sequenze costituiscono il secondo livello: si tratta di un film storico che ricostruisce le vicende del genocidio degli armeni. Ciò che colpisce non è tanto la struttura metacinematografica, quanto il fatto che grazie a tale costruzione Egoyan narri una serie di vicende inventate realisticamente, mentre i fatti storici del secondo livello sono ricostruiti nella finzione filmica, resa evidente dalla ricorrente rottura dell’illusione scenica. Inoltre questi fatti non sono perfettamente aderenti ad una ricostruzione filologica, come fa notare la consulente storica: il personaggio del regista (che non a caso si chiama Soroyan) dichiara la necessità del romanzesco per rendere la realtà storica più interessante e più forte a livello simbolico.Il tema principale, la necessità di tenere in vita e rendere attuale la memoria dell’eccidio degli armeni, salda i due livelli; lo spettatore, durante la prima parte del film, pur avvertendo il passaggio da una dimensione all’altra, non sa ancora quale sia il reale rapporto tra i due livelli. Gradualmente questo rapporto è svelato così che i due livelli si illuminano a vicenda. L’intensità della tragedia della strage degli armeni viene, da un lato, smorzata in virtù del distacco creato dallo svelamento dell’artificio cinematografico, dall’altro, è amplificata nella misura in cui i personaggi della realtà nel Canada dei giorni nostri vivono quotidianamente l’eredità problematica del destino degli armeni, più o meno consciamente. In virtù delle forti esperienze emotive più che della ricostruzione storica, il livello di coscienza e consapevolezza rispetto al passato aumenta costantemente nel corso del film e ciò accomuna i personaggi del primo livello che si confrontano con il film Soroyan e noi spettatori del film di Egoyan. Il film di cui ci viene narrata la lavorazione si intitolerà anch’esso “Ararat”: questa sovrapposizione ci suggerisce come un film su questo argomento avrebbe potuto essere: in costume, un po’ retorico, con una netta divisione tra buoni e cattivi. Al primo livello, invece, i sentimenti, le situazioni esistenziali, i contrasti, i giudizi non sono così nettamente contrapposti, tutto è molto più sfumato, incerto, come, ad esempio, il rapporto ambiguo tra Raffy e sua madre, tra Raffy e la sorellastra, il personaggio enigmatico del doganiere che infine abbandona la sua severità e più di tutti il turco, turco di oggi, confuso e ambiguo, che viene chiamato ad interpretare la parte di un altro turco del passato “molto cattivo”, monolitico nella sua crudeltà.

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