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Frammenti di una grigia quotidianità

Frammenti di  una grigia quotidianità

L’ ottima capacità introspettiva di Mike Leigh (già vincitore di due Palme d’Oro e di un Oscar) gli permette di girare un film psicologico giocato sugli sguardi, sui silenzi e su dialoghi decisamente ben studiati dando modo allo spettatore di improvvisarsi interprete di sensazioni e stati d’animo vissuti in prima persona e quindi riconosciuti o semplicemente ‘sentiti’ grazie ai personaggi del film. La quotidianità, quella più lenta e grigia in cui si affonda col rischio di non tornare più in superficie è messa in risalto e ben descritta grazie alle note malinconiche che fin da subito fanno il loro ingresso in scena accompagnando ogni vicenda con rassegnazione e continuità facendo intuire che si sta per entrare in un mondo in cui le cose sono così da sempre e nessuno muoverà un solo dito per cambiarle. I primi piani centrati soprattutto sugli sguardi persi e interrogativi come quelli di Phil, tristi e sconsolati, pieni di rabbia e risentimento nel caso di Penny, smarriti e bisognosi d’amore come quelli di Rachel danno modo di leggere direttamente dagli occhi dei protagonisti i tormenti delle loro anime. Lunghi silenzi e scene lente sottolineano lo scorrere incessante e inesorabile del tempo che sembra non passare mai perché quando si perdono le dolci sfumature dell’esistenza tutto si fa piatto e ogni giorno è uguale al precedente, se non peggiore. Ma per i protagonisti va sempre ‘Tutto bene’ e Leigh sa usare bene queste parole, tanto bene che si riesce sempre a scorgervi il significato nascosto, il non voler parlare, il non voler dire che va male perché la verità sarebbe scomoda, perché ci sono cose che non si possono dire, perché sembra quasi mostruoso trovare il coraggio di ammettere che non ci si ama più. Ma dato che non va tutto bene si pronunciano parole brevi, secche, decise, in modo da spiazzare l’interlocutore e troncare ogni discussione. O, quando le parole non servono, quando il torto scotta ma non lo si vuole ammettere basta mandare tutti a quel paese (e funziona, o così pare) perché poi nessuno farà più domande, perché in questo modo ognuno richiude la propria porta e torna ad isolarsi nel suo mondo. Ma c’è un altro modo per affrontare le cose.Peccato che spesso lo si capisca solo quando accade qualcosa che fa fermare gli eventi e pensare che si è vivi: quando il figlio di Penny e Phil ha un attacco di cuore il movimento entra in azione, scene più veloci, musica incalzante e sguardi svegli e attenti sui volti di tutti, quasi si rendessero conto in un solo istante di essere importanti l’uno per l’altro. E allora si trova il coraggio di dire la verità e scoprire che non è poi così atroce, che ci si può sempre ritrovare e riscoprire grazie ad un semplice abbraccio. E proprio l’abbraccio è il filo rosso che unisce il niente di chi si limita a stare al mondo col tutto di chi respira a pieni polmoni la vita.

Curiosità: Timothy Spall, protagonista del film, è al suo sesto ‘incontro’ con il regista inglese, infatti ha lavorato con lui a teatro, in un telefilm televisivo e in tre suoi film (Dolce è la vita, Segreti e Bugie e Topsy-Turvy)

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