Due sensi al prezzo di uno
Prendete il “sesto senso”: la capacità di vedere i morti, i fantasmi, gli altri. “Vedere”: esso si somma alla vista, è in realtà un attributo aggiuntivo ad uno dei cinque sensi. Le larve ci girano attorno continuamente, nei luoghi della loro morte essi ossessivamente rivivono in eterno la pena, in attesa di un conforto, di una consolazione che eternamente strazia perché non avviene; si vive una volta sola, ma si muore poi in eterno. E quando una di queste ombre si accorge che può essere scorta da qualcuno, qualcuno ancora in vita, non riesce a fare a meno di chiedere ragione a questo oltraggioso non-defunto della propria condizione: come diceva anche Pavese, chi resta in piedi deve di ciò rendere conto a chi è caduto.
Una ragazza cieca cui viene effettuato un trapianto di cornea si trova a vedere, per la prima volta, il mondo; e in esso i suoi abitanti, tutti. Se si vuole considerare lo scorgere spiriti deambulanti come un senso in più, ecco che la ragazza, in un colpo, ne acquista due.
The Eye, secondo lavoro dei fratelli Oxide e Danny Pang, appare dopo Darkness e The Ring, in un momento di apparente rinascita del cinema di genere; è un ulteriore horror che contruibuisce, assieme ai titoli succitati, a far uscire questa categoria dal ghetto in cui è stata sempre relegata; perchè di film d’orrore ben fatti stiamo parlando, e orrore d’atmosfera più che esplicito. Opere come La Casa o Ammazzavampiri dimostrano che, quando l’oggetto delle nostre paure è rivelato apertamente, all’horror non rimane che scoprire le proprie carte: è ciò che rende questo genere così mostruosamente divertente. L’autoironia è fondamentale: lo spettatore sta al gioco, e non chiede di più. E tuttavia se confrontiamo film di questo tipo con altri quali L’esorcista, Rosemary’s baby, Shining, The fog, Il presagio, vediamo come sia possibile edificare, solo con accenni e sensazioni, intere stanze d’angoscia in cui rinchiudere lo spettatore dal primo all’ultimo minuto. Di certo The eye o The Ring o Darkness non si possono nemmeno paragonare ai precedenti capolavori, eppure a mio avviso essi sono simboli del tentativo di dare nuova linfa a un genere grandioso (si pensino alle opere dei primi decenni del cinema) eppure così poco selettivo, quasi un bidone pieno di schifezze (non è spregiativo) ma con tante perle sparse sul fondo, rassegnate a convivere tra torsi di cavolo e lische di pesce, budella e carnetrita, succo di pomodoro e arti mozzati, mostri e brutture varie. Con rispetto parlando: Jeepers Creepers ad esempio, sugli schermi lo scorso anno, è un filmaccio divertentissimo.
The Eye, se sorvoliamo sul tema non esattamente originale, parte bene. Anzi, nella prima metà regala anche un paio di brividi. La regia rende efficacemente il progressivo affacciarsi della protagonista all’inedita vista sul mondo, ai suoi oggetti, ai suoi abitanti. All’inizio la vista sfuocata e debole dalla giovane non sa distinguere tra corpi e ombre, tra i vivi e i morti. Questa è la parte più valida del film. In seguito la tensione cala, e di molto, per giungere ad un’esplosione finale in grande stile, che dev’essere costata più di tutto il resto del film messo assieme, e di cui francamente non se ne vedeva la necessità, per quanto grazie ad essa la protagonista trovi relativa soluzione ai propri problemi.
A cura di Mario Bonaldi
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