Sublime follia di un genio
Che dire di questo Harris che dopo diversi ruoli secondari (lo ricordiamo in “A beautiful mind”, in “The Thruman show”, tanto per citarne un paio fra gli indimenticabili) si fa per la prima volta produttore, regista e protagonista? Che non è Ed Harris.
E’ Jackson Pollock. Dal primo all’ultimo istante, per l’impressionante somiglianza fisica d’accordo, ma soprattutto per le passioni da cui è mosso, per il suo modo di vivere e di farsi trasportare dagli eventi, per il suo spirito tormentato e per certi versi caotico.Perché riesce a trasmettere il legame indissolubile che legava il pittore all’arte facendo inconsapevolmente suo il pensiero di Renoir “La vera arte deve essere indescrivibile e inimitabile”.
E l’arte di Pollock lo è sul serio, indescrivibile per il semplice fatto che come diceva lui stesso non ha senso cercare di trovare un perché ai suoi dipinti (“Ci si strappa forse i capelli a guardare un prato fiorito domandandosi ‘perché’?”); inimitabile perché nei suoi quadri ci sono le pieghe del suo essere.
Quasi non si riesce a vedere il film e la storia come due cose separate che interagiscono fra loro: dai primi trenta secondi infatti si ha la sensazione di fare una sorta di viaggio nel tempo, di essere spettatori silenziosi e invisibili di una realtà che si sta svolgendo davanti ai propri occhi attimo dopo attimo. Contribuiscono a creare questa magica e surreale atmosfera le musiche, la poetica penombra di scene splendide, la metamorfosi incredibile di attori del calibro di Val Kilmer, Jennifer Connely e Marcia Gay Harden (teniamo presente che grazie a questo ruolo ha vinto l’Oscar) che con la sua presenza forte e continua fa pensare a quanto sia vero che dietro ad un grande uomo ci sia sempre una grande donna.
‘Tu sei un grande pittore’ continua a ripetere Lee Krasner (la Harden appunto) al marito e glielo ripete sempre, nei momenti di maggiore sconforto a parole e in quelli di gloria con uno sguardo denso di ammirazione e amore, sguardo in cui i fragili occhi di lui si perdono per riceverne coraggio, entusiasmo, ma anche approvazione forse. E lei crede in Pollock più di quanto ci creda lui stesso, si può dire che sacrifichi la sua carriera per lui donandogli incondizionatamente i suoi anni migliori, lo sprona, gli sta accanto, lo incita a fare del suo meglio, a vivere. E c’è un momento in cui lui la bellezza della vita Pollock la sfiora davvero, accade quando si chiude nella sua stanza per giorni e giorni e non fa che fissare una tela enorme e bianca fino a che non riesce a scorgervi qualcosa e ricordando per certi versi il grande Michelangelo che liberava le sculture dal blocco di marmo Pollock libera il dipinto e la sua anima attraverso fili di colore intrecciati e colate di pittura fluida.
E chi ama la sua arte, così come chi amerà questo film è chi riesce di fronte all’arte a ‘sentire’ l’artista senza farsi domande, a stupirsi senza cercare a tutti costi di far rientrare l’opera in canoni di bellezza stabiliti a priori, a guardare senza pensare lasciandosi guidare dallo sguardo per andare al di là dell’immagine stessa, per esplorare l’ orizzonte del possibile davanti al quale solo l’arte ci può portare. Ed ecco allora che l’attore si fa pittore e il pittore quando esprime il suo ego alterna in un susseguirsi armonico poesia, musica, danza e colore per dar vita a qualcosa di irripetibile, a qualcosa che non può essere interrotto solo perché ‘è finita la pellicola’ o perché ‘il sole è tramontato’, in quanto sarebbe come arrestare tutto ad un tratto il flusso della coscienza, il turbine di sentimenti e sensazioni che fanno vibrare le corde del proprio cuore quando si sta facendo ciò che si ama più di ogni altra cosa.
Curiosità: nel cast c’è anche la moglie di Harris, Amy Madigan, nel ruolo di Peggy Guggenheim.
A cura di
in sala ::