Benvenuta, Germania
Il cinema tedesco degli ultimi anni appare il più in crisi dell’intero continente europeo. Non solo Wim Wenders, il più grande regista teutonico dell’ultimo ventennio, appare decisamente giù di forma e preferisce continuare a dedicarsi a documentari, ma anche tra le giovani leve si stenta a trovare un autore veramente di rilievo. Tutto ad un tratto arriva sugli schermi questo Good bye, Lenin. Il regista, Wolfgang Becker, non è certo un giovincello ed è vicino ai cinquant’anni, ma questo suo quinto lungometraggio è il primo ad arrivare in Italia. Ma il merito di questo film va spartito con l’esordiente Bernd Lichtenberg, perché il punto di forza sta soprattutto nel soggetto e anche nella sceneggiatura, che riesce a far convivere elementi fortemente grotteschi con altri più tradizionalmente drammatici o comici. Nel suo insieme la pellicola è forse troppo lunga, ma ben strutturata e quasi sempre interessante.Tra i protagonisti più intensi del film c’è sicuramente Berlino, città che ancor oggi, quattordici anni dopo la caduta del muro è in continua trasformazione. Case popolari, case diroccate, case in ricostruzione, case da cui non si può uscire. Tutto il film utilizza il tema della casa come una metafora per illustrare il mutamento di una nazione.Tra l’indubbia buona qualità della produzione, si segnalano però diverse pecche. Per prima cosa la mano di Becker è troppo spesso indecisa tra virtuosismi registici (la citazione kubrickiana con la scena velocizzata e la musica del Guglielmo Tell di Rossini) e scialbe inquadrature televisive che fanno pensare a certi telefilm tedeschi. In secondo luogo la colonna sonora di Yann Tiersen appare chiaramente come una sorta di recupero degli scarti dell’ultimo lavoro del maestro francese, Il favoloso mondo di Amelie, da cui estrae interamente uno dei brani principali, mantenendo il tema per tutte le due ore.Malgrado queste lacune però, Good bye, Lenin lancia sinceramente un primo segnale di risveglio per il cinema tedesco, in attesa che produzioni magari più importanti sappiano seguirne la scia.
A cura di Alberto Brumana
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