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Intrigo internazionale

Intrigo internazionale

Piazza delle cinque lune, un thriller?
La domanda è legittima. Il fronte del sì trova conferma nella presenza di un caso, di un mistero da risolvere, un personaggio che indaga, la ricostruzione dei fatti.
Ma il fronte del no ha altrettante frecce al suo arco: lo spettatore non ha poi molto spazio per ricostruire gli eventi, perché gli vengono snocciolati da una saputella Stefania Rocca; il colpo di scena finale è prevedibile già dalla prima metà del film e ogni speranza di suspence muore dopo una breve vita.

La trama è esile, quasi inesistente, e i pochi elementi che la compongono scontati e prevedibili. La mdp si assume allora il compito di creare l’intrigo, la minaccia oscura e ignota. Rosario è pedinato da uno sguardo anonimo, che lo sorveglia dall’alto e lo segue di sbieco, obliquamente.
Non si tratta di una benevola Provvidenza, ma di un occhio maligno che trama alle spalle, così come ha fatto con Aldo Moro. Non solo: è una ragnatela che avviluppa tutti, tesa fra le vie della città.
Rosario e l’occhio inquisitore si sfidano in verticale. Il giudice sale lungo la pista offerta dalle indagini, piccola vedetta senese che vuole vedere dall’alto che cosa sta accadendo, dominare gli eventi. L’ascesa –sulla torre in Piazza del campo o sulla via della verità- porta Rosario –e lo spettatore- a raggiungere lo stesso potere dello sguardo schiacciante, a condividerne la posizione di supremazia e controllo.

Certo, la tranquilla Siena e dintorni non sono i luoghi più indicati per suggerire la minacciosa, ignota presenza di un complotto internazionale. Quindi la mdp ovvia con improvvisi zoom a ritmo di musica elettronica e virtuosismi da capogiro, mentre la fotografia si tinge delle sfumature più cupe (pioggia o sole non importa). Martinelli arriva addirittura a far volare un aereo spargi-diserbante sulla testa di Donald Sutherland, come Hitchcock fece con Cary Grant. Ma se là Hitch seppe creare la suspence nel luogo più insolito, qui il risultato è barocco, eccessivo, stridente. Martinelli si sforza in tutti i modi di rendere il film oscuro e inquietante come un thriller americano, con il risultato di diventare insopportabile e invadente proprio come la CIA che accusa.

Curiosità:
la canzone che accompagna i titoli di chiusura è scritta e cantata dal nipote di Aldo Moro.

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