La degradazione di un erotomane
Come si può parlare male di questo film? Una regia senza sbavature, di un veterano del cinema americano, sostiene attori a loro agio nei propri ruoli. Una fotografia stupenda e ricercata accompagna una sceneggiatura solida, che non si perde mai. Insomma sembra tutto a regola d’arte, eppure la sensazione è che manchi qualcosa.Manca uno spunto veramente originale, manca un’idea forte che colpisca, che dia al protagonista e alla sua storia la forza di venire fuori e d’imporsi all’attenzione dello spettatore, di lasciare un segno.I produttori del film sono gli stessi di “Ed Wood” e “Man on the moon”. L’idea di fondo era quella di fare un altro film su un personaggio fuori dagli schemi, su un uomo che scardina dal suo interno i meccanismi del sistema e mina le fondamenta della morale. Ma l’operazione in questo caso sembra riuscita solo a metà. Come detto prima, sembra proprio mancare la forza del personaggio centrale, soprattutto se lo paragoniamo all’ Edward D. Wood Jr. di Tim Burton o all’Andy Kaufmann di “Man on the moon”. Bob Krane, sembra, più che imporsi con la sua personalità, essere vittima di una psicosi, di una dipendenza fisica e mentale dal sesso e dalla pornografia che lo porterà allo sfascio e alla solitudine. Probabilmente l’idea di Schrader non era quella di fare un film drammatico sull’ascesa e la caduta di un uomo divorato dalle proprie ossessioni, ma piuttosto ritrarre lo squallore di un uomo mediocre che non riesce a capire che sta buttando via giorno dopo giorno la sua vita.La regia di Schrader, a questo proposito, si fa più “scomposta” a mano a mano che il film procede e Bob Krane si trasforma. Se all’inizio, quando la vita del protagonista sembra seguire la morale più ortodossa, la macchina da presa è statica e le inquadrature, al cui interno ogni cosa sembra occupare il suo giusto spazio, molto costruite, con il proseguire della vicenda e il degradarsi di Bob Krane, Schrader riccore alla macchina a mano, ad inquadrature quindi traballanti che faticano a contenere lo spazio inquadrato. Lo stesso lavoro è stato fatto in chiave fotografica: se all’inizio i colori sono saturi e ben definiti, con l’evolversi della storia, i contrasti tra luci ed ombre si fanno più marcati e l’atmosfera più cupa.Una scelta registica intelligente, ma che, anche in questo caso, sembra non sfruttare appieno le proprie potenzialità. Il contrasto tra il perbenismo iniziale di Bob Krane e la sua progressiva degradazione morale, e di conseguenza un discorso tra una moralità ipocrita, solo d’apparenza che nasconde dentro di sé i germi della perversione, non assume quei toni forti che da un uomo di cinema come Paul Schrader ci si potrebbe aspettare. Poco incisivo.
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