Lo chiamavano ‘Mani di dinamite’
Qui in Italia uscì a gennaio proprio a cavallo di un’ondata di freddo che mordeva implacabile. Quasi uno spot pubblicitario meteorologico della minimum fax per lanciare il nuovo libro.
Ora invece è aprile e mi ritrovo a leggere quest’ultimo gioiellino di Thom Jones con lo stesso effetto termico: freddo vento e pioggia che non ti aspetti. Coincidenze da brividi…
Ondata di freddo è il titolo del primo racconto che dà il nome alla raccolta. Questa prima short story è ambientata in Africa. Caldo, afa e mosche direte voi? Niente affatto. Perché proprio in Africa, allora? Che c’entra col freddo l’Africa? Apparentemente nulla. E invece la temperatura precipita subito dopo aver sfiorato l’elefante sotto zero della copertina, fin dalla prima pagina, grazie ad uno stile pugilistico che gela coi colpi rapidi di una scrittura senza fronzoli, intensa e disperata. Non per nulla i critici si sono sprecati con paragoni a Hemingway e Carter.
La short story, ecco l’espediente. Ma non è tutto. L’autore fa una scelta particolare perché i 10 racconti non sono stelle di universi slacciati tra loro. La sensazione più forte che scorre tra le storie è la percezione di una sottile linea termica che unisce e stringe, fin quasi a fare sentire il graffio del gelo. Sembra di essere al cospetto di un incrocio romanzo-antologia, ad un monologo corale. I racconti di Jones si intersecano gli uni con gli altri: è come se le esistenze dei personaggi si sfiorassero, s’intrecciassero, facce di una scintillante palla ruotante da discoteca.
Veniamo ai personaggi. Sono medici, paramedici, giornalisti, pugili impegnati nelle loro disperate routine per continuare a vivere scacciando gli incubi dalla loro esistenza. Tutti, o quasi, fanno la felicità delle case farmaceutiche consumando vagonate di pillole, morfina e insulina e architettando altre tecniche poco ortodosse per conservarsi “sani”. Se state pensando a Soffocare di Chuck Palahniuk siete fuori strada. Jones non si perde in trame e personaggi tanto ricercati da cadere nell’artificioso e finto. Le storie calamitano da subito l’attenzione, sono pulite e caricate di un ritmo che va sempre più crescendo verso il finale. Sono storie bellissime, con risvolti tragici e a volte assolutamente grotteschi, come spesso la vita reale.
Thom Jones sta rapidamente diventando uno scrittore di culto negli Stati Uniti, migrando velocissimamente dallo status di dilettante di lusso che scrive in preda ad un raptus (la leggenda narra che il suo racconto d’esordio lo scrisse di getto in una notte insonne) al ruolo di affermato araldo di una umanità di spostati e sognatori depressi che ha bisogno di voci rinnovate.
A cura di Fabio Falzone
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