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Semplicemente e impossibilmente: un viaggio della memoria

Semplicemente e impossibilmente: un viaggio della memoria

Un ragazzo americano giunge in Ucraina su un treno proveniente da Praga. Ha in mano una foto, la scaglia di un attimo avvenuto sessant’anni prima. Suo nonno con la famiglia grazie alla quale © di Leonardo Céndamosopravvisse all’ondata di male nazista. Suo nonno, ebreo, con Augustine, l’unica a poter essere ancora viva. E quindi trovata. E poi? Chissà: forse ringraziarla: forse darle del denaro. Nella ricerca, il ragazzo americano, che di nome fa Jonathan Safran Foer, sarà affiancato da un coetaneo ucraino, Alexander Perchov, e dal nonno di questi, autista cieco. Autista: per la “Viaggi Tradizione”, agenzia di viaggi a gestione famigliare alla quale Jonathan si affida per risalire ai luoghi nei quali suo nonno è stato giovane. Cieco: per psicosomatica cecità, causata dalla morte dell’adorata moglie, Anna. In tre: per non dire niente riguardo al cane, che anzi è una cagna: guida al suo cieco padrone; si chiama Sammy Davis Junior Junior, in onore del cantante preferito del nonno.

Da questa situazione prende le mosse la narrazione di “Ogni cosa è illuminata”, romanzo d’esordio di Jonathan Safran Foer, nato a Washington nel 1977, di agiata famiglia ebraica. Opera originalissima, a più voci, viaggio nel passato famigliare e nel ricordo, struggente rievocazione degli affetti e delle sofferenze, e delle atrocità compiute dagli uomini nel nome, usurpato, della Storia.
L’ opera di Foer si distende sopra una doppia struttura: da una parte è la voce di Alex a raccontare, rievocando i giorni del viaggio a cui ha preso parte per ritrovare Augustine. Il ragazzo utilizza un linguaggio particolarissimo e inusuale: difficilmente troveremo parole accostate al loro tipico verbo d’impiego, o modi di dire d’uso comune. Dormire, ad esempio, diventa “fabbricare le Z”; dispiacersi, “battersi il petto”; avere paura, “cacare mattoni”. Mai qualcuno prenderà qualcosa dalla borsa: la “escaverà”. Una parlata che sembra solo una trovata comica, e invece diviene un vero e prprio tentativo di forzare le regole semantiche e strutturali della lingua: è un esperimento linguistico. Perché non si può iniziare una lettera dicendo: ”Caro Jonathan, anelo che questa sia una bella lettera. Come sai, non sono di prima classe con l’inglese. Nel russo le mie idee sono spremute in maniera anormalmente bellissima, ma la mia lingua seconda non è altrettanto pregiata”?
L’inglese caricaturale di Alex è comunque irresistibile. Il tono della sua narrazione, tuttavia, diviene di pagina in pagina più serio, meno irriverente col procedere delle scoperte, delle “illuminazioni”. Alex, da giovane bullo di Odessa che si vanta di essere “carnale” e “inseminativo” con svariate ragazze, di frequentare “famosi night club” e che sogna di andare in America e lì diventare un ricco commercialista, ben presto si rende conto delle responsabilità che possiede verso la propria famiglia; scopre una dimensione di affetti e di legami che mai avrebbe immaginato. La sua voce si fa più profonda, più consapevole. Alla rievocazione del viaggio si alternano le lettere indirizzate a Jonathan, scritte durante la redazione del suo resoconto. Nel romanzo esse sole trovano posto, mentre le risposte del suo corrispondente non sono riportate. Il coetaneo americano diventa così muto depositario, fratello sensibile cui Alex apre il proprio cuore, esternando inquietudini e speranze, per giungere alle ultime, commosse riflessioni di chi sta già varcando la soglia che fa di un ragazzo un uomo.
(Ma l’ultima, sconvolgente lettera, su cui si chiude il romanzo, è vergata dal nonno di Alex, sempre per Jonathan.)

L'edizione originaleAlla memoria narrata da Alex si alterna dunque la voce di Jonathan, che ricrea una vera e propria saga ebraica: la storia (la Storia?) di Trachimbrod, villaggio dell’Ucraina in cui vissero i suoi antenati; a partire dall’apparizione di Brod, la “progenitrice” della famiglia, fino alla distruzione del villaggio stesso causata da un non molto inatteso attacco nazista.
Questa parte di “Ogni cosa è illuminata” è un trionfo di poesia e di immaginazione, è Storia e favola insieme, realtà che si amalgama con la magia e l’invenzione per dar vita a un risultato sorprendente.
Struggente è la figura di Brod, bambina meravigliosa e infelice, capace di distinguere e dar nome a ogni tipo di tristezza esistente, ognuna ben distinta dalle altre. Bambina affiorata miracolosamente da un fiume e adottata da Yankel, amorevole “usuraio infamato” che fonda la propria esistenza su questo comandamento: “Ogni cosa per lei”. La saga si snoda per ben centocinquant’anni giungendo infine a Safran, nonno di Jonathan, che sfugge alle bombe tedesche proprio grazie al Brod, il fiume che ha preso il nome da quella bambina apparsa dalle sue acque.
Tutta la narrazione è pervasa da un sentimento disperato e splendido dell’amore, così forte e totale da concedere a chi ne è toccato ben poca felicità. Anzi: meno felicità è possibile, più forte sarà l’amore, più assoluta la devozione. Penso a Brod: sposata ma non innamorata del marito, e però sempre più a lui vicina, man mano che la pazzia e la conseguente violenza dell’uomo aumenta.
Alex, in una lettera, rivolge a Jonathan, alla sua famiglia, questa accusa: “Tutti siete in vicinità dell’amore, e tutti ripudiate l’amore.”Jonathan Safran Foer

Jonathan Safran Foer (l’autore, questa volta) sorregge e dirige questo complesso alternarsi di voci con abilità incredibile. “Ogni cosa è illuminata” è un’opera multiforme e magmatica, un continuo crepitare di invenzione e intelligenza, sensibilità e poesia; sa alternare riso e pianto, dolore e speranza in maniera mirabile, ancora più impressionante se la si considera creazione di un autore appena più che ventenne.
Ogni cosa sarà davvero illuminata, infine: dall’amore, dalla memoria. Dall’impasto di entrambi.

“Ogni cosa è illuminata” resta tra le mani, dopo l’esperienza della lettura, come un diamante grezzo; naturalmente prezioso, imperfetto e bellissimo.

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