L’amore ai tempi del consumismo
In un mondo che non sembra più spiegabile, raccontabile, dove gli avvenimenti e le reazioni delle persone si susseguono senza una logica, senza un criterio razionale, si aggira smarrito Barry Egan. Possiede una piccola impresa di compra-vendita (di cosa poi non si capisce bene); è terribilmente solo, ha sette sorelle molto possesive ed ha improvvise crisi di pianto e d’isterismo. E’ normale? Ci chiediamo. Forse è un povero psicopatico. Ma chi può dirlo, in un mondo dove nulla sembra avere un senso. Un furgoncino si ferma in mezzo alla strada e lascia sull’asfalto un’harmonium (un piccolo piano elettrico); una hot-line si trasforma in una banda di aguzzini pronta a tutto pur di spillarti soldi, una donna s’innamora perdudatamente di te solo per averti visto in fotografia e le offerte di una casa di budini valgono più di quanto spendi. Anche il capitalismo e il consumismo sembrano aver perso la loro logica, la loro ragione d’esistere. Come raccontare tutto questo? Come trovare qualcosa da dire in un mondo che non possiamo più spiegare?Se in “Magnolia” il regista e sceneggiatore sembrava possedere in modo anche altezzoso risposte per tutto e dava la sensazione di volerci spiegare come girasse il mondo, qui siamo sul versante veramente opposto. Di risposte non ce ne sono e non c’è nulla da spiegare. Il cinema allora arretra di fronte al mondo, perchè i suoi strumenti narrativi convenzionali sembrano sterili. Il film di Anderson, quindi, assomiglia più a un piccolo poema, ad una canzone di Michael Stipe dal testo stralunato. E’ una favola post-moderna, una love-story nell’epoca del post-industrialismo. L’amore alla fine trionfa, tra viaggi alle Hawaii e ansimanti corse tra corridoi asettici di un condominio. Trionfa come il sentimento più irrazionale in un mondo che di razionale non ha più nulla. Come risposta spiazzante al non-senso di ciò che ci sta attorno. Un film non pretenzioso, originale, girato con un talento incredibile, e Adam Sandler è talmente bravo da far venire i nervi.
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