Le (stra)ordinarie avventure di un reporter a fumetti
Joe Sacco ha, oggi, poco più di quarant’anni. Nel 1991, quando trascorse due mesi in Israele intervistando decine di persone con taccuino e macchina fotografica, ne aveva poco più di trenta. Giovane. Laureato in giornalismo nel 1981, inizia subito a disegnare fumetti, prima in proprio poi per la militante Fantagraphics Book, per cui pubblica tuttora. In origine pubblicata a puntate (dal 1993) e solo in seguito in volume (nel 1996); “Palestine” ha reso Sacco una celebrità. L’opera, acclamata ed elogiata da Art Spiegelman, nome tutelare del Fumetto Usa al cui capolavoro “Maus” “Palestina” è stato avvicinato, gli ha fatto vincere uno dei premi letterari americani più prestigiosi, l’”American Book Award” nel 1996. L’edizione, pubblicata qualche mese fa da Mondadori (nell’ottima traduzione di Daniele Brolli); è la traduzione dell’ edizione Usa del 2001 che ha in più una prefazione di Edward Said ( uno dei maggiori esperti della questione palestinese, citato nel fumetto) e una breve introduzione di Sacco, in cui constata che in dieci anni poco è cambiato, anzi molto è peggiorato, specialmente con la nuova intifada partita proprio nel 2001.
L’opera, che anche raccontando un viaggio vecchio di dieci anni non ha perso minimamente di attualità (e purtroppo non grazie solo all’innegabile talento dell’autore); rimane un qualcosa di unico ed eccezionale. Il fumetto, di solito relegato in campi minori, mai vicino alla cultura alta per molti, si rivela strumento perfetto di sintesi, di realismo, di espressività. Come in una graphic-novel di Will Eisner, disegno e scrittura si intrecciano, creando una sintesi di enorme forza. Lontano da certe operazioni nostrane ( mi viene in mente la “Storia di Italia a fumetti”…) qui Sacco fa un grande fumetto (con un disegno molto personale e perfetto per quello che racconta) e colpisce nel segno: “a eccezione di uno o due romanzieri e poeti nessuno ha rappresentato questo terribile stato di cose meglio di Sacco”, per citare Said dall’introduzione. Attraverso 240 tavole seguiamo il giovane reporter nei suoi vagabondaggi per Gerusalemme, Nablus, Ramallah fino al finale nei campi profughi della striscia di Gaza e ascoltiamo le decine di interviste rievocate con la forza delle immagini: storie di soprusi, violenza, torture e morte, con momenti di forte intensità (il racconto di tre persone tra le migliaia ad aver passato un periodo ad AnsarIII, la più grande prigione per palestinesi, o l’agghiacciante storia di Ghassan, arrestato e torturato per giorni senza aver commesso nulla). Ascoltando, in modo molto più vivido grazie alle immagini, i racconti di vita di ragazzi, anziani, donne, bambini immersi in una realtà lontana dalla nostra tranquillità occidentale, proviamo lo stesso sconcerto di Sacco, che mano a mano delinea con precisione rara una situazione disperata, evoca un mondo a lui e a noi enormemente estraneo. Uscito dai campi in cui per anni è stato relegato, il fumetto si dimostra un mezzo eccezionale per la capacità di raccontare, di sintetizzare in una tavola tragedie di decenni, di concentrare in poche vignette violenza e realtà che con il tradizionale reportage richiederebbero pagine, e magari risulterebbero di minor intensità.
Un’opera che d’altro canto testimonia l’enorme creatività e vitalità della scena fumettistica in Usa e l’assenza in America di pregiudizi presenti nella cultura nostrana, a volte insopportabilmente antiquata rispetto ad altre realtà (ve lo immaginata Pazienza vincere lo Strega…?).
Un’avvertenza: tutto il reportage è visto da occhi palestinesi (non comunque dalla parte palestinese).
“In a world where photoshop has outed the photograph to be a liar, one can now allow artists to return to their original function as reporters”. Così Art Spiegelman e non si può che essere d’accordo.
Intanto il nostro non si è fermato: tra il 1995 e il 1996 ha passato quattro mesi in Bosnia e il risultato è “Gorazde” pubblicato in Usa nel 2000. Non resta che aspettare.
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