Deserto e metropoli
Nel Sudafrica del dopo-Mandela, Julie, ragazza bianca di estrazione alto borghese, incontra casualmente Abdu, straniero senza permesso di soggiorno che proviene da un paese musulmano non meglio identificato. Julie ha in parte rinnegato le proprie origini: è democratica e non razzista, frequenta assiduamente un bar in una zona periferica in cui incontra amici altrettanto “alternativi”. Abdu, invece, vive e lavora in un’autofficina e ha sviluppato quella diffidenza e ritrosia tipiche di chi è abituato a nascondersi per sopravvivere. Fra i due nasce l’amore o meglio deflagra la passione fisica, che è l’unico vero terreno comune nonché l’unica possibilità autentica di comunicazione fra due culture e mondi così diversi. Gli amici di Julie accolgono bene Abdu, anche se quest’ultimo assume un po’ il ruolo di “cartina tornasole” della loro apertura mentale e non riesce mai a diventare veramente uno di loro.
Tutto sembra proseguire secondo le aspettative fino a quando Abdu riceve l’avviso di espulsione dal paese. Julie farà ricorso al potente zio, in vece dell’innavicinabile padre, ma nemmeno il solerte interessamento di quest’ultimo potrà evitare l’inevitabile. Ed è a questo punto che il romanzo imbocca un sentiero inaspettato, spiazzante per il lettore occidentale. Trasferitisi entrambi nel remoto villaggio, ai bordi del deserto, sarà proprio Julie a restare mentre Abdu partirà alla ricerca di un’improbabile fortuna in America. A sottintendere che il potere logora chi ce l’ha o, meglio, che la società capitalistica sta stretta a molti, forse troppi dei suoi fruitori a pieno diritto. Mentre rimane un miraggio solo per chi non ha avuto l’occasione di conoscerla a fondo.
L’originalità dell’agile romanzo risiede nell’analisi psicologica dei due personaggi, nell’elenco delle paure e dei sospetti reciproci che fanno da leit-motiv alla loro storia d’amore. Talvolta, pensando al razzismo, imbocchiamo una strada a senso unico. Individuiamo le nostre resistenze e non quelle altrui. Il romanzo ha il dono di farci intravedere anche l’altra prospettiva, non meno distaccata e “utilitaristica”.
I momenti più poetici sono proprio quelli vissuti nell’antico villaggio. Lì dove la famiglia ha ancora un ruolo di protezione e sostegno, dove l’anziana madre veglia affinché il focolare domestico non si estingua. Dove le relazioni personali hanno il sopravvento, dove c’è ancora spazio per costruire, per cambiare, per sognare un futuro diverso e migliore per tutti. Dove i giochi non sono ancora fatti e c’è anche il tempo per essere, perché no, madri.
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