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Quando la bruttezza si fa bella II – Sergio Martino

Prima di passare ai gloriosi pessimi registi d’oltreoceano, non è possibile non citare un altro autore di casa nostra. Dalla Napoli di Ciro Ippolito ci si sposta molto per arrivare alla Roma di Sergio Martino. Basteranno due titoli tra le sue sessanta produzioni per illustrare la sua capacità di generare capolorrori: il mitico Giovannona coscialunga, disonorata con onore e l’indimenticabile L’allenatore nel pallone. Ma partiamo dall’inizio: il piccolo Sergio nasce il 19 giugno del 1938 con una macchina da presa in mano, dato che il padre è Gennaro Righelli, pioniere del cinema italiano di inizio secolo. L’esordio, come aiuto regista, è in Il Demonio di Brunello Rondi, di cui il fratello maggiore era lo sceneggiatore. Il suo primo film è Mille peccati… nessuna virtù, un tentativo di documentario che in realtà già mostra i pruriginosi istinti del buon Sergio. Dopo qualche poliziottesco che ancora non sfrutta appieno le doti della sua attrice feticcio Edwige Fenech, Martino firma il suo primo vero capolorrore di successo, il già citato Giovannona coscialunga, disonorata con onore. Qui l’attrice italo-algerina interpreta la finta moglie del glorioso Pippo Franco (vero nome Franco Pippo!); che viene usata come tangente per un politico. Ovviamente non mostrerà solo l’arto del titolo… Ma Martino non si concede solo alla commedia scollacciata, divertendosi a spaziare tra tutti i generi possibili e immaginabili. Alla fine degli anni 70 si dedica ad esempio allo splatter. Il suo titolo più emblematico è La montagna del Dio cannibale, dove abbandona la Fenech per spogliare Ursula Andress. Il resto del film è un’incredibile serie di uccisioni di uomini e animali, massacrati nei modi più incredibili. A inizio degli anni 80 la produzione di Martino si fa fittissima (almeno due film a stagione); e tra il 1983 e il 1984 raggiunge l’apice con almeno tre film. In 2019 – Dopo la caduta di New York cerca di inserirsi nel filone lanciato di Carpenter con un film ambientato in una metropoli postatomica. Tra effettacci e battute risibili ne esce una divertente rivisitazione del genere. In Shark rosso nell’oceano, diretto insieme a Lamberto Bava, propone un horror sanguinolento su degli improbabili squali modificati geneticamente (storia già sentita?); mentre il 26 ottobre 1984 esce nei cinema italiani il capolorrore martininiano per eccellenza: L’allenatore nel pallone. Oronzo Canà (Lino Banfi) è l’allenatore della Longobarda, mitica squadra del Dottor Zampetti appena arrivata in serie a. L’incommensurabile Oronzo riuscirà a salvarla grazie all’arrivo di Aristoteles, campioncino brasiliano interpretato da quell’Urs Althaus già protagonista dell’ippolitiano Arrapaho. Indimenticabili le comparsate di Aldo Biscardi e Giampiero Galeazzi. Dopo questi capolorrori purtroppo Martino si perderà nel mondo della fiction televisiva, e da segnalare è solo Un’australiana a Roma, in cui verrà portata in Italia un allora sconosciuta e non ancora ventenne Nicole Kidman. Per il resto solo mediocre lavoro di routine e un premio alla carriera ricevuto al Festival di Torino del 2001 dopo un’applauditissima proiezione di 2019, giusto tributo per un grande regista di genere del cinema italiano.

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